venerdì 24 giugno 2011

Prada entra nella borsa a Hong Kong ma viene contestata

di Sergio Di Cori Modigliani


Certo non se l'aspettavano.
Ed è inutile che cerchino di minimizzare.
Soprattutto per un'azienda che ha fatto del suo simbolo, del suo marchio, della sua griffe, del suo brand, un inno all'evoluzione del gusto italiano, della donna moderna ed emancipata: un rinconoscibile feticcio, insomma, della parte più avanzata dell'Italia.

Non se l'aspettavano, perchè all'estero l'Italia -ma guarda un po'- rivela sempre antichi vizi e comportamenti regressivi, con la coda malamente nascosta di un sapore colonialista che davvero sembra non tramontare mai.

Veniamo ai fatti:

Il gruppo industriale italiano leader nel mondo per ciò che riguarda prodotti di lusso femminile per il mercato alto/altissimo, il cui marchio consolidato Prada è diventato sinonimo di ricchezza all'italiana, aveva scelto di sbarcare a Hong Kong, e invstire sul mercato asiatico presentandosi in borsa.

Data ufficiale dell'ingresso in borsa: 24 giugno 2011.
Risultato: un successone.
Il titolo raccoglie in poche ore circa 1,8 miliardi di euro e conferma il trend economico della firma.
"La Cina sarà uno dei più importanti mercati del lusso" così sostiene  l'amministratore delegato di Prada, Giancarlo Bertelli "contiamo di penetrare nel mercato cinese che si sta lanciando nel mercato del lusso femminile e rappresenta per noi il segmento di mercato più appetibile al mondo: la Cina è il futuro del lusso".

Ma accade che..... SORPRESA:

Il Comitato Femminista di Hong Kong (un gruppo di donne che non si occupa tanto di ideologia ma soprattutto di schiavismo, sfruttamento delle donne e sfruttamento del lavoro minorile delle donne) inscena una manifestazione e un corteo di protesta proprio davanti alla borsa di Hong Kong, vero e proprio tempio asiatico della più maschile tra tutte le passioni al mondo: la contrattazione del danaro.
Un fatto davvero inconsueto per l'Asia.

"Prada schiavista" dice un cartello, mentre un altro sostiene "Prada sfruttatrice del lavoro femminile".
La direzione esteri di Prada cerca di minimizzare, aiutata dai media cinesi che applicano una censura soft sulle proteste, additando il gruppo di femministe come una squadra di mentecatte in gita di svago.

Ma Sylvia Sims, corrispondente del canale economico Bloomberg (il sindaco di New York) con sede a Manhattan, stava già lì con il microfono in mano e le interviste già fatte. Il tutto è finito in diretta in Usa e sulla rete (in Italia, va da sè, nessuno ne parla e nessuno ne vuole parlare).

"Prada è un'azienda di negrieri neo-colonialista" sostiene Lin Yuang Chow, respondabile settore lavoro del Comitato Femminista Donne di Hong Kong "non paga le proprie collaboratrici, sfrutta il nostro lavoro, ci ricatta, ci paga al di sotto del minimo sindacale che non intende riconoscere e se una si lamenta, ti licenzia e assume forza lavoro proveniente dal Vietnam e dal Laos che accettano di lavorare sottopagate e senza nessuna garanzia sindacale. E questa sarebbe l'azienda che rappresenta l'Italia nel mondo? Davvero in Italia funziona così?".

La domanda è retorica. Lin Yuang è una donna intelligente, che si informa e segue le vicende internazionali in rete. Sa benissimo che da noi esistono leggi, contratti, sindacati. E Prada non si permetterebbe mai di operare a Milano, Roma o Palermo così come intende operare a Hong Kong.

"E' per questo che abbiamo identificato questo comportamento come neo-colonialista. A casa fanno i democratici e all'estero, molto lontani da occhi indiscreti, fanno gli schiavisti. Per fortuna" dice Lin Yuang "oggi c'è la rete e quindi è possibile far sentire anche la voce delle donne asiatiche sfruttate perchè arrivi in Europa. Dopotutto siamo donne anche noi".

A questo serve la rete.

Sempre che uno la voglia usare per informare.

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