domenica 17 luglio 2011

1988: l'estate decisiva della Repubblica Italiana.

di Sergio Di Cori Modigliani.
Il 19 luglio del 1992, il giudice Paolo Borsellino veniva assassinato con la sua scorta.
Inizia, da oggi, una tre giorni di commemorazione di quel terribile delitto la cui portata è gigantesca e va ben al di là della tragedia esistenziale singola.
Si è trattato di una tragedia collettiva e di un danno immenso e forse irreparabile per la Repubblica, non soltanto per il fatto che Borsellino era una persona per bene, un giudice onesto e incorruttibile.
L'aspetto grave consiste nel fatto che lui era il simbolo di chi voleva spezzare l'asse di collegamento tra la mafia operativa e le istituzioni dello Stato negando qualsivoglia valore all'accettazione di ogni compromesso politico con i mafiosi.
Si era in guerra, allora.
Si è in guerra, ancora oggi.
La mafia la si combatte per batterla sul campo.
Non esistono alternative.
Questo era ciò che lui sosteneva.
Ed è per questo che l'hanno ucciso.
Con la complicità di tutti coloro che volevano invece portare avanti una trattativa (dai più ignobili che lo volevano soltanto per lucrare ai più nobili che lo volevano nel nome di una pacificazione nazionale); in entrambi i casi, quell'accordo sancì la vittoria della mafia che venne accolta come "referente legittimo" e spianò la strada per la costruzione di una società come quella nella quale viviamo nel 2011.

Tutto si decise nel 1988.
Nell'estate del 1988.
Fu l'estate più calda della Repubblica, operativamente parlando.

Fu l'estate nella quale Borsellino cominciò a parlare, a spiegare, a informare a tutti.
Il 20 luglio del 1988 comparve sul quotidiano la Repubblica una sua intervista, molto lunga e complessa e articolata, di cui voglio qui ricordare una frase "tacere è sbagliato" che lui ripete più volte.
Era il suo unico appello alle forze democratiche della nazione. Tutto qui.
Esigeva da chi apparteneva al mondo politico ed economico istituzionale che conta "che parlasse", che dicesse al paese come stavano le cose.
Lui iniziava, allora, facendo la sua parte e dando l'esempio.
"Tacere è sbagliato".
Vale ancora oggi.
E' ciò che va fatto.

E' ciò che fece Mauro Rostagno, in quell'estate del 1988.
Rostagno era un giornalista onesto che faceva il suo lavoro. Combatteva contro l'impunità, il malaffare, la mafia, e se sapeva qualcosa e quando sapeva qualcosa, lo diceva, non lo usava per far carriera.
Rostagno era convinto che andava seguita la strada di Borsellino.
Anche lui, come me, rimase molto colpito e segnato da quella splendida intervista. Ne parlammo a lungo.
"Tacere è sbagliato".
Mauro Rostagno scoprì qualcosa che non doveva sapere.
Si rifiutò di accordarsi con il potere.
Rostagno non voleva tacere.
Lo assassinarono il 26 settembre 1988, a due mesi di distanza da quell'intervista.

Perchè quella fu l'estate decisiva.
Borsellino lo sapeva e iniziò a pungolare la parte cosiddetta sana della nazione perchè si aprisse al nuovo, cioè al tramonto della "omertà politica condivisa e consociata" laddove la classe poltiica (anche quella apparentemente anti-mafiosa) finisce per cooptare dentro di sè atteggiamenti comportamentali identici a quelli della mafia. E la mafia gongola perchè capisce di aver vinto, perchè è passata la sua "cultura" il suo "linguaggio" il suo "modo operativo".
Non si tratta con la mafia.
La si combatte per abbatterla. Senza se e senza ma.
E se non lo si fa non ci si può poi lamentare che la mafia impoverisca la nazione abbattendo i redditi di chi lavora e produce.

La tragica estate del 1988.
Quando Silvio Berlusconi decide di lanciarsi a livello internazionale nel campo dei media.
Mentre una classe politica italiana compiacente prepara una legge per salvaguardare le sue tivvù che verrà poi votata in parlamento il 2 luglio 1990, Berlusconi sbarca a Hollywood con la Penta film, in Spagna con la Cinco e inizia la sua grande avventura in campo internazionale. In teoria, un dinamico imprenditore nel settore immobiliare con fiuto per la pubblicità e televisione marketing -ma niente di più- si rivela, all'improvviso, (proprio quell'estate) una persona in grado di muovere e smuovere giganteschi capitali internazionali.
"Tacere è sbagliato" sostenne quell'estate Borsellino.
Vale ancora oggi.
E chi ha orecchie per sentire, ascolti: è ciò che l'Italia vuole. E' ciò di cui ha bisogno.

Fu l'estate in cui si decise a livello mondiale di cambiare il mondo e di stabilire un Nuovo Ordine.
A maggio era stato firmato un protocollo segreto tra Ronald Reagan e Gorbacev che sanciva la fine del comunismo. Le banche e le nazioni chiesero un anno di tempo per organizzarsi prima di dare il via ufficiale all'operazione, senza dire nulla ai cittadini e ai popoli. Così fu.
Mentre a Roma arrivava l'ordine di Mosca (così come anche arrivò a Parigi e Madrid, le tre capitali dove i comunisti vantavano una imbattibile forza politica) di decuplicare manifestazioni e articoli contro la Nato, contro la nuova dislocazione di missili americani in Sicilia, attaccando con molta vigoria gli Usa, in Urss il vertice allora al potere usava il comunismo occidentale e il pacifismo per alzare il costo nella tratttativa con gli americani: era puro business. Volevano più soldi, tutto qui.
Noi che allora marciavamo, non lo sapevamo. Nessuno ci aveva spiegato nulla.

Perchè nessuno, nella sinistra, aveva scelto di seguire la strada indicata da Borsellino "Tacere è sbagliato".
Paolo Borsellino era un uomo serio, onesto, probo, che credeva nel primato della legalità e nella assoluta necessità di sconfiggere la mafia per spingere l'Italia verso una modernità avanzata di mercato.
Ma era un uomo di destra.
E a sinistra, non piaceva, perchè le menti ghettizzate faziose non volevano tirare la volata a uno che non fosse di sinistra. Era troppo pericoloso. Soprattutto all'indomani della caduta del comunismo.

Ogni tanto mi capita di leggere in questi giorni scritti, articoli, comizi, seminari di persone che conosco e di cui ricordo, -allora nel 1988- come parlassero di Paolo Borsellino definendolo "uomo della Cia".
"Tacere è sbagliato" diceva Borsellino e quindi è necessario parlare.
Se uno vuole capire e comprendere.
Come fece, nel 1988, Mauro Rostagno. Per questo l'assassinarono.
Paolo Borsellino rimase schiacciato nella morsa della guerra fredda, perchè "moralmente" è stato assassinato dai comunisti italiani di allora e da chi ritenne che fosse meglio trattare con la mafia facendoci affari insieme.
Oggi che alcuni archivi sono stati aperti è possibile appurare fatti che allora si potevano solo intuire.
Il capo del KGB a Mosca, in una lettera spedita nel febbraio del 1988 a un suo agente operativo a Londra spiegava alcune questioni relative a rapporti con l'Italia identificando, tra l'altro, in Paolo Borsellino un feroce nemico del popolo e del socialismo. Quell'uomo, era Vladimir Putin. Inizia in quell'estate del 1988 la sua folgorante carriera. Insieme a Silvio Berlusconi, di cui diventa amico proprio in quel momento.
Fu proprio in quel periodo che la mafia siciliana, nella primavera del 1988, capì che conveniva spostarsi dalla droga, dagli appalti nazionali, dallo strozzinaggio e dai consueti canali della criminalità diciamo così "provinciale" per entrare nel grande giro della finanza internazionale che si sarebbe spalancato come un'occasione d'oro da non perdere con il crollo del comunismo sovietico.
Il responsabile della pianificazione economica di Reagan aveva individuato nel giugno del 1988 una fluttuazione di circa 4.000 miliardi di dollari -di allora- che si sarebbero riversato sul mercato finanziario dei capitali in seguito al crollo del muro di Berlino.

La mafia voleva entrarci.
La mafia volle entrarci.
La mafia ci entrò.

E ha iniziato a spolpare l'Europa rosicchiandola dal suo interno.

"Tacere è sbagliato".
Chi sa, deve parlare.

E' un atto politico.
Oggi più doveroso che mai.
Come fece il giornalista Mauro Rostagno nell'agosto del 1988 quando scelse e decise che voleva parlare.

E' l'unica maniera per dare un senso al lascito di valori e all'eredità che Paolo Borsellino ci ha regalato.
Ricordare a se stessi e a tutti che "Tacere è sbagliato".

Qualunque altra opzione è vuota retorica di chi, anche da morto, lo vuole affossare.

Che riposi in pace il Grande sonno dei Giusti.

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