martedì 12 luglio 2011

Ecco l'uomo che ha deciso il destino dell'economia italiana

di Sergio Di Cori Modigliani


Questo signore si chiama Guan Jianzhong.
Non è ancora famoso.
E’ probabile che lo diventerà molto presto.
E’ una delle persone più influenti e importanti del pianeta.

Fino a dieci anni fa nessuno sapeva neppure che esistesse, tranne gli esperti del settore.

E’ cinese, nato nella periferia di Pechino, quarantacinque anni fa. Cresciuto all’interno del partito comunista cinese, come funzionario esperto in problemi della pubblica amministrazione, si è distinto molto presto per le sue indubbie doti di organizzatore efficiente, molto serio e onesto, incorruttibile, capace di saper leggere in anticipo le micro-realtà economiche, trovando soluzioni adeguate  (viabilità a Pechino, gestione di servizi scolastici nel distretto di Szen Fuh al confine con la Mongolia, organizzazione del quartiere degli artisti a Sganghai) ed esperto economista in questioni di macro-economia planetaria, con una specializzazione nell’analisi della salute economica e dei mercati finanziari dei paesi europei occidentali della zona euro.
Dieci anni fa, il comitato centrale del partito comunista cinese, dopo due anni di stretta valutazione, ha accolto con favore la sua proposta, presentata –in un accurato dossier informativo lungo 186 pagine- in modo tale da fornire elementi pragmatici di valutazione delle sue idee, perchè delineava la potenziale situazione economica planetaria fino al 2020, assumendosi il rischio personale di compiere valutazioni settoriali –con matematica precisione- a brevissimo, breve, medio e lungo termine. Dei dieci punti toccati, tre avrebbero avuto la loro esplicita manifestazione nei successivi ventiquattro mesi (nel caso le sue previsioni si fossero dimostrate accurate) ed è ciò che è accaduto.
Jianzhong aveva, allora, 29 anni.
Prova inconfutabile che l’uomo era solido, intelligente, visionario, colto. Grande stratega.

Esperto in Confucio, la filosofia di Lao Tze e grande seguace di Mao Ze Dong, il padre della patria.
E così, accettano il suo piano.

Nell’ottobre del 1998 nasce la “DADONG”, la prima agenzia di rating finanziario cinese, nata dalla confluenza  del TUFEE (Tianjin University of Finance and Economics on Earth) e una agenzia governativa burocratica e sonnacchiosa, la Dagong Global Credit. La nuova Dadong è privata: ha due soci di mercato, cinesi: uno ha il 64% delle azioni, l’altro il 28%. Il governo possiede l’8% del restante pacchetto azionario. Ma la Cina non è gli Usa e neppure l’Europa. Il nome dei due soci non è pubblico, e non può essere rivelato nonostante sia esclusivamente privata. Non si sa chi siano. Hanno soltanto messo a disposizione i capitali necessari per lanciare l’impresa. Circa 50 milioni di euro.

Primo obiettivo della società: lavorare con tale competenza tecnica, abilità, merito di esecuzione, da conquistarsi (entro il 2006) una imbattibile credibilità internazionale.
Secondo obiettivo: avendo previsto nel 1997 che nel 2007 il capitalismo occidentale avrebbe iniziato la sua fase discendente correndo a perdifiato verso la bancarotta, riuscire –a gomitate- a conquistarsi un posto al sole accanto al Gotha del capitalismo mondiale: sedere accanto a Moody, Fitch, Standard & Poor’s, FMI, Banca Mondiale, Banca Centrale Europea, se non altro come consulenti relativi al continente asiatico e  alla Cina. Obiettivo raggiunto.
Terzo obiettivo: entro il 2011 –a gomitate sempre più aggressive- riuscire a squalificare e denunciare il monopolio delle società di ratings occidentali accreditando la Dadong come una new entry attendibile. Quarto obiettivo: diventare entro il giugno del 2012 un elemento costitutivo nella analisi e definizione della solvibilità delle nazioni.
Quinto obiettivo: affermarsi entro dicembre 2012 come la più accreditata agenzia di rating finanziario del pianeta.
Sesto obiettivo: entro la primavera del 2014 garantirsi un prestigio mondiale tale per cui la Dadong diventa il principale punto di riferimento finanziario planetario imponendo –a quel punto- dei cinesi ai massimi vertici sia della Banca mondiale che del FMI.
Entro il 2020 diventare “garante dell’unica banca immediatamente solvibile del pianeta”.
Naturalmente cinese.
Il resto sono quisquilie.
L’aspetto affascinante lo si trova a pagina 82 e pagina 117 del programma presentato nel 1996, laddove, nel delineare la possibile vittoria militare dell’invasione d’Europa (applicando la strategia militare di Lao Tze “una nazione solida e saggia non invade mai un territorio nemico usando la forza militare e le armi e mettendo a repentaglio la vita dei propri connazionali, questo lo fanno i barbari, non le comunità civili ed evolute: i saggi usano l’astuzia, la calma, la strategia, l’abile esercizio dello scambio economico tra popoli, nazioni ed etnie diverse”) Jianzhong individua nella Francia il proprio alleato storico tattico, sfruttando l’inestinguibile e imbattibile senso del nazionalismo gallico. E così, finanzia il debito pubblico francese, acquistando bond francesi –tra il 2005 e il 2011 per complessivi 250 miliardi di euro- e quando a giugno del 2011 Christine Lagarde, candidata alla presidenza del Fondo Monetario Internazionale, in seguito all’affaire Strauss Kahn, si trova davanti un perentorio NO della Cina, vola a Pechino per quattro giorni.
Partecipa a quattro riunioni della durata di sei ore ciascuna.
Le ultime due, da sola con Jianzhong.
Il risultato di quei colloqui (non è mai stata rivelata al pubblico né agli esperti neppure una parola di quei colloqui) è un semaforo verde per la Lagarde.
48 ore dopo, inizia sui mercati planetari l’attuale tormentone finanziario, la cui definizione di "speculazione finanziaria" è niente di più e niente di meno che l’ennesimo falso ideologico prodotto da abili, sagge, e accorte armi di distrazione di massa.

Il 2 luglio 2011, per la prima volta nella storia, una agenzia di rating finanziaria non occidentale, la Dadong per l’appunto, viene “accolta ufficialmente” nel tavolo buono della finanza bene planetaria.
La Dadong identifica l’Italia come “il soggetto strutturalmente più debole, data la sua importanza, nell’intero comparto dell’economia occidentale” e declassa l’economia italiana da AA al pericoloso A-. Moody,s, Fitch, Standard & Poors e Banca Mondiale, accolgono il dato nelle contrattazioni ufficiali sia a Francoforte che a Londra che a Wall Street (a Milano non sanno neppure che la Dadong esiste).

I cinesi sanno come usare le armi del capitalismo applicato.

Il bello del capitalismo in un’economia di mercato nell’era de-ideologizzata figlia della scomparsa guerra fredda (durata 50 anni) tra blocco sovietico e blocco occidentale è stata sintetizzata con semplicità, armonia e chiarezza di parole poco tempo fa:
 “le chiacchiere stanno a zero e le notizie, informazioni, opinioni, proclami e manifesti sono tutti intercambiaibili; si ritorna alla “vera politica tradizionale di un tempo” perché quando si arriva a parlare di soldi, liquidità, debito, credito allora si finisce in un luogo dove la macro-economia delle potenze planetarie e la micro-economia di una qualunque famiglia dell’Europa occidentale si incontrano con la stessa angosciosa domanda esistenziale: quando finirà la crisi? Quando ci riprenderemo? Che cosa sta accadendo? Come uscirne fuori? E’ il momento in cui non servono più comizi e interessi personali ristretti: servono risposte oggettive valide per tutti, ricchi e poveri, nazioni e individui che compongono le famiglie, si sta tutti dentro la stessa barca: o arriviamo in porto o affondiamo”.

Si concludeva così, un forum di economisti, finanzieri ed esperti nel settore,  svoltosi a Chicago, Illinois, Usa, quattro mesi fa, nel marzo 2011, con una bella relazione finale splendidamente recitata da Dominque Strauss Kahn, allora onnipotente capo del Fondo Monetario Internazionale, e oggi, caduto in disgrazia per i motivi che ben sappiamo.
Forse, una metafora del momento che stiamo attraversando.

Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di fare il punto della situazione.
Facciamocela raccontare da lui:
“Dadong è al 100% privata, e questo ne garantisce l'indipendenza. Ci sono due soci che detengono il 60% e il 40% della società” dice Guan Jian Zhong, che però sui rapporti con la leadership di Pechino preferisce non dire nulla. Il mio percorso personale si è formato all’interno dell’amministrazione: sono stato un funzionario governativo fino al 1992, poi ho aperto la mia compagnia privata di investimento. Sono entrato in Dadong nel 1998 e nel 2008 ho ottenuto una scholarship speciale del governo. Sono anche presidente della Commissione Credito della China Information Industry Association. Ritengo che ci vorrà del tempo prima che gli investitori si abituino alla presenza di Dadong sullo scenario internazionale – prosegue Guan- a chi bisogna credere? Alla compagnia cinese o a quelle americane? Penso che gli investitori si potranno formare un giudizio valutando i due diversi metodi di indagine, i diversi standard e criteri, e potranno fare i confronti tra i rapporti delle agenzie USA e i nostri. Ma con le sole valutazioni americane, per l'investitore è difficile farsi un'idea oggettiva e corretta dei rischi e della situazione del debito sovrano”.
Quando gli si chiede informazioni sull’Italia, Jinzhong non risponde. “Non conosco lo specifico. Abbiamo una sezione di esperti analisti finanziari che si occupano esclusivamente della repubblica Italiana. Sono 1560 persone: economisti, agenti di borsa, banchieri, rappresentanti dell’industria, operatori internazionali. Bisognerebbe chiedere al signor Lin, lui è il capo di quel settore”.
Guan Jian Zhong rimanda, quindi, ogni responsabilità al manager del Country Risk Department Lin Wenjie: “Abbiamo assegnato all'Italia un rating di " A-",  basandoci su criteri come forza economica, forza finanziaria, status fiscale e situazione delle riserve e abbiamo riscontrato alcuni problemi su questi fattori”, dice Lin. “Riteniamo che ci siano alcuni problemi nella stabilità e nell'effettività delle politiche del governo, nella capacità di adottare riforme e nell'efficienza del settore pubblico. Pensiamo che l'Italia sia forte economicamente, ma che stia anche affrontando un deterioramento della sua competitività a livello internazionale, che può minacciare il futuro potenziale di crescita della nazione. Il settore bancario italiano ha mantenuto una forte stabilità nella crisi finanziaria internazionale, ma il principale problema che l'Italia deve affrontare è di natura fiscale e di competitività. E’ vero che le banche hanno retto, è vero che il governo ha immesso nel settore creditizio una grande massa di liquidità pari a circa 40 miliardi di euro tra il 2007 e il 2010 per salvare i risparmi degli italiani. Ma le banche, quei soldi non li hanno dati alle imprese: se li sono divisi come profitti tra di loro, speculando in borsa su se stessi. None esiste la speculazione internazionale che “si sta abbattendo sull’Italia” come si legge sui vostri giornali. Sono le banche italiane che tra il 2008 e il 2010, invece di mettersi al servizio della nazione e delle industrie hanno scelto la speculazione finanziaria di derivazione politico-burocratica ottenendo giganteschi profitti. Le tasse che gravano sui cittadini sono troppo alte. Le tasse che gravano sulle imprese sono troppo alte. Il danaro circola soltanto tra banche e non arriva alla società civile che produce. Di conseguenza c’è la stagnazione. Quello che ne I Ching si chiama “Il Pozzo”: una voragine che assorbe tutta la massa monetaria senza produrre lavoro, senza creare occupazione, senza crescita, senza sviluppo.”.
In tutto il mondo, ormai, la Dadong e Jingzhiao vengono ascoltati come guru attendibili.
E se uno ha 20 milioni di euro da investire sul mercato finanziario si rivolge a loro.
Secondo loro, l’Italia non sta in crisi. E’ stata “spoliata” delle proprie risorse dall'interno: è tutta un’altra storia.
Inevitabile, quindi, che il grande capitale mondiale disinvesta da un paese che non ha futuro.

Se voi aveste in mano 50 milioni di euro da investire, potendo scegliere ogni pianeta del mondo, vi verrebbe mai in mente di fidarvi di Silvio Berlusconi, Borghezio, Brunetta, Tremonti, Bossi. e compagnia bella?

Aggiungo, in finale, un’ultima comica (per non dire tragica) informazione. Attraverso consueti canali diplomatici, la Dadong voleva parlare con Berlusconi di alcuni aspetti economici. Il nostro premier aveva da fare. Hanno messo Jingzhiao in collegamento con il sottosegretario alla presidenza del consiglio che ha la delega per gestire rapporti istituzionali di carattere internazionale: l’on. Daniela Santanchè.
Vi potete immaginare l’esito di quel colloquio?


Buon martedì a tutti i connazionali.

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