domenica 20 novembre 2011

Daniela Brancati ci spiega e racconta la Rai con gli "Occhi di maschio: le donne e la televisione in Italia".

di Sergio Di Cori Modigliani

·         E’ appena uscita in Italia la prima storia critica della Rai, un racconto originale che descrive –e lo fa dal suo interno- le ragioni e le modalità che hanno contribuito a costruire l’immaginario collettivo della nostra nazione attraverso la televisione.
·         Si chiama “Occhi di maschio. Le donne e la televisione in Italia: una storia dal 1954 a oggi” (editore Donzelli. 2011) ed è scritto da Daniela Brancati.
·         L’autora è una celebre giornalista. E’ stata il primo direttore di telegiornale in Italia di genere femminile, prima nel 1991 a Videomusic e di lì a breve al comando del TG3. Il libro è denso di aneddoti, oltre che di riferimenti storici, e descrive i meandri e i bizantinismi, gli accordi e le clientele, dietro le quinte dell’ammiraglia nazionale televisiva. E’ anche un libro autobiografico e un’imperiosa accusa alla società italiana, responsabile, secondo la Brancati, di aver perpetrato una costante quanto impietosa mitologia regressiva della donna, non considerandola mai ad un livello di pari dignità con il maschio.  La Brancati è sempre stata molto sensibile all’aspetto sociale dell’impegno femminile e della sua presenza nel mondo del lavoro (di grande impatto un suo precedente lavoro, “La pubblicità è femmina ma il pubblicitario è maschio” Marsilio editore, Venezia 2005) ma il suo racconto è sempre molto leggero, sereno, disincantato, senza cedere mai a potenziali derive antagoniste. Oltre che molto piacevole alla lettura, questo libro, è uno strumento indispensabile per tutti coloro che hanno  la curiosità di conoscere la struttura della Rai per comprendere alcuni aspetti fondamentali del medium che, più di ogni altro in assoluto, ha determinato e influenzato la visione del mondo degli italiani per 50 anni. Da ricordare che Daniela Brancati, al di là della sua professione di giornalista, è soprattutto una eccellente scrittora. Nel 2005 era uscito un suo romanzo “Tutta una vita” (Marsilio editore) che è una vera chicca d’autore, la cui lettura consiglio a tutti coloro che sono curiosi e affamati di prodotti “alti”  e “altri” rispetto all’ attuale produzione asfittica della letteratura italiana.
Ecco qui una breve intervista che l’autora, molto gentilmente, mi ha rilasciato per questo blog.

                                           Intervista a Daniela Brancati:
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D:  In apertura del suo libro lei dichiara che questa sua opera è una "storia dei vinti", intendendo delle persone di buon gusto e di buon senso, delle femmine. Perchè, secondo lei, si è verificato in Italia -paese proverbialmente noto per il buon gusto e l'eleganza- un fenomeno come questo? Perchè ha vinto il cattivo gusto?
R: La politica in Italia ha un enorme peso sui media e in particolare sulla tv. Nonostante questo non è riuscita ad assumere su di sé la responsabilità di governarne il cambiamento con regole certe a tutela dei cittadini. In particolare non ha voluto o saputo (tanto è lo stesso) governare il passaggio dal monopolio tv al sistema misto, assegnando alla Rai un ruolo preciso e diverso dalle tv commerciali. Questo ha determinato una corsa agli ascolti non importa con quali modalità e contenuti.
         
D: Nella storia della Rai che lei disegna, dai suoi primordi nei primissimi anni'50 fino a oggi, lei identifica un luogo comune che consiste nella perpretazione costante di un ruolo subalterno della donna. Perchè, secondo lei, è stato così? Pensa che lo sia ancora oggi? Ritiene che ci siano delle tendenze che fanno pensare a un possibile cambiamento?
R: Anche quando le donne sono apparentemente protagoniste è l’occhio di maschio dietro alla telecamera che ne determina il ruolo effettivo. Evidentemente i maschi che governano la tv hanno una pessima considerazione del pubblico a casa. Ritengono che gli uomini spettatori siano incapaci di ragionare se non dalla cintola in giù e le donne siano subalterne. Tendenze al cambiamento non ne vedo, tentativi sì e soprattutto noto un diffuso malcontento che induce molto pubblico ad abbandonare la tv generalista.

D:  La Rai ha avuto nei suoi 60 anni di storia due donne come presidente, Letizia Moratti (a destra) e Lucia Annunziata (a sinistra). E' stata una esperienza positiva? Pensa che siano riuscite a operare una qualsivoglia trasformazione? Ritiene che la loro esperienza -molto breve se paragonata a quella dei loro precedessori maschi-  possa essere archiviata come una "parentesi" oppure come un inizio di cambiamento?
R: Ogni rottura del ‘tetto di cristallo’ è positiva. Anche se sul momento sembra che non lasci traccia, in realtà costituisce un precedente e rimane nell’immaginario collettivo.
        
D:  Come si è intrecciata la storia della Rai con la storia del paese? Lei ritiene che, così come la Rai "ha fatto" il paese, lo ha altrettanto "disfatto" contribuendo a quella che lei, nel suo libro definisce una progressiva vittoria del male sul bene, della volgarità sulla sobrietà, del consumo sulla Cultura?
R: Certo, è così. La Rai ancora oggi ha un brand fortissimo, come dimostra un fatto semplice: quanti conduttori e showman/women sono andati in altre emittenti pensando di replicare il successo avuto nell’aziende di stato e pur facendo lo stesso prodotto non si sono neanche avvicinati al risultato? Questa forza le assegna una grande responsabilità che negli ultimi anni sembra non voler esercitare.

D: . Lei ha scritto la prima storia critica e sociale della Rai. Come mai? Da quale impulso è nata questa scelta?
R: Io giro molto l’Italia per conferenze, lezioni, ecc e in tanti mi chiedevano: come siamo arrivati a questo punto? Diciamo che ho voluto rispondere alle curiosità di tanti. E – devo confessarlo - anche ricordare ai tanti politici che sembrano sempre ‘vergini’ di fronte a ciò che accade, che non sono nati oggi. C’erano anche ieri ed è bene che almeno non replichino gli stessi errori. Detto in modo più elegante: in momenti di transizione, quale quello che stiamo vivendo, giova mettere in fila i fatti e capire come si è arrivati alla situazione attuale.
        
D: Parlando del decennio degli anni'80' lei spiega che allora, la Rai, malata di "provincialismo ed esterofilia" inviava i propri consulenti in Usa per seguire, copiare e cooptare il loro modello. E' ancora oggi, così? Piuttosto che lanciare nuovi trend, la Rai preferisce pedinare i trend di altre culture?
R: Direi meglio: acquistare format anziché mettere al lavoro i creativi.

D:  Lei, a metà degli anni'90 è stata l'ideatrice di una novità clamorosa che, allora, fece epoca: trasformò i "mezzibusti" in esseri umani in carne e ossa. Fino ad allora, infatti, i giornalisti erano sempre seduti. Lei, in qualità di direttore di rete, li mostrò in piedi, che si muovevano, camminavano. Diede loro una dinamica corporea. Oggi, è norma consueta. Come venne accolta, allora, quest'esperienza?
R: Come sempre vengono accolte le idee nuove in un paese conservatore come il nostro: bene dal pubblico giovane che ne era il destinatario e con ironia dagli altri, dirò di più, dagli stessi che poi mi hanno imitato senza avere il coraggio di dirlo.

D: Nell'identificare, oggi, dei segnali negativi nella produzione Rai, lei scrive che la perdita più grave consiste nella totale mancanza di appartenenza di chi è in Rai. Che cosa vuol dire?
R: Io ho lavorato in tante aziende e so che per prima cosa devi essere orgoglioso del lavoro che fai, del prodotto che ne è il risultato e del team. In Rai senti solo critiche e poco la spinta a migliorare il prodotto. Ognuno che vi lavora sembra sempre di passaggio. Pochi sentono che migliorare l’azienda dipende anche da loro. Da qui la sensazione che fare il proprio dovere al meglio sia inutile. Spero che la nuova direttora generale sappia invertire la tendenza e recuperare quel senso di orgoglio aziendale che è la premessa del successo.

D:  Nel 1992, lei ha ricevuto il premio "Premiolino" che è il più antico e prestigioso premio giornalistico italiano. Era un momento, allora, di grande entusiasmo propulsivo. A vent'anni di distanza, come giornalista e scrittora, che cosa le rimane di quell'emozione?
R: Come per ogni riconoscimento significativo ti rimane l’orgoglio di aver fatto qualcosa di positivo riconosciuto dagli altri, socialmente rilevante.

D:  Lei ha definito la televisione "una invenzione che vi permette di farvi divertire nel vostro soggiorno da gente che non vorreste mai avere a casa vostra".
R: Mi piacerebbe poter dire che la frase è mia, ma non è così. L’ho solo fatta mia.

D:  In conclusione del suo libro lei sostiene che le donne non sono innocenti, ma purtroppo si sono fatte complici. Se non sono state innocenti, quali sono state le loro colpe? Se sono diventate complici, lo sono di chi?
R: Donne e uomini, nessuno si può chiamare fuori quando il livello di smottamento culturale  è come quello che stiamo vivendo. Si può essere complici perché si opera attivamente – come le ragazze che scelgono la scorciatoia di utilizzare in modo improprio la bellezza fisica – oppure perché ci si limita a osservare e non ci si batte contro il degrado.

D:  Che cos'è la Rai, oggi? Qual'è la sua vera identità? Chi l'ha impoverita?
R: È un discorso lunghissimo, incoraggiamo i lettori a cercare il libro e leggerlo: se di un giallo si rivela l’assassino ancor prima di iniziarlo….

D:  Pensa che ci sia un futuro, per la Rai, oppure ha ormai perso sia il passo che la presa sulla realtà?
R: Io sono ottimista, bisogna pensare il cambiamento ancor prima di perseguirlo. È necessario però che sia ottimista anche chi il cambiamento lo può realizzare.
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D:  L'ultima domanda: lei ritiene che le donne, in Rai, alla fine si sono arrese preferendo essere "italiane" prima ancora di manifestare la propria autonomia in quanto "donne"?
R: Spesso ci si arrende alla convenienza. Ma sarebbe sbagliato non cogliere i fermenti di ribellione e organizzazione contro un sistema sbagliato.


1 commento:

  1. È IDILLIACO QUESTO DISCORSO, ED È UN'ILLUSIONE. Dice: ''Evidentemente i maschi che governano la tv hanno una pessima considerazione del pubblico a casa.'' Secondo me invece ne hanno una considerazione realista. Ho vissuto in Italia continuativaente solo i primi vent'anni della mia vita ma la mia famiglia aveva edicole di giornali e son cresciuta in mezzo alle stesse, con rammarico ho dovuto rendermi conto che il pubblico è così, proprio cosí, vuole prevalentemente quel tipo di cose e per quanto mi sia indigesto ho dovuto ammettere che le donne italiane (specialmente fino alla generazione scorsa)avevano ed hanno una tremenda predisposizione a guardare altre donne nude o a guardarsi da sole più che apprezzare il nudo maschile, che apprezzano anche un pò però però meno. Io non sono così e mi son sempre sentita un ufo. Oggi vivo in Spagna e quando vado con i miei figli al parco, anche qui, vedo diverse mamme che indossano tacchi, gonna e calze di nylon vicino ai papà con le scarpe da ginnastica ed i pantaloni lunghi, le studentesse davanti ai licei idem... è inutile che continuiamo a dare la colpa a chi gestisce le Tv, loro devono vendere, purtroppo il sistema è quello. Io avevo fatto richiedere dall'America a mia zia Playgirl, per non essere sessista in edicola, nel 90, e poi lo compravano solo i gay. Le nostre anziane, la prima generazione che ha saputo leggere e scrivere se andiamo a vedere, in maggiornaza compravano pacchi di riviste scandalistiche, sette o otto alla volta, per vedere il didietro della principessa o dell'attrice e spettegolare sui lifting. Dico ciò con profondo rammarico e nella speranza che smettiamo di denunciare solo gli errori altrui e ci occupiamo un pò anche di cambiare in prima persona, noi donne. A meno che non ci piaccia continuare così, ma almeno prendendoci delle responsabilità e parlando sinceramente, in questo caso.

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