lunedì 31 ottobre 2011

Una grande banca statunitense dichiara bancarotta: era piena di bpt italiani.

di Sergio Di Cori Modigliani

Speriamo soltanto che non sia la prima, ma soltanto l’unica.
In questo momento, a caldo (la notizia è di un'orafa) l’unica vera speranza per il nostro paese e per l’Europa è che si tratti di un caso isolato. E io non ho strumenti sufficienti per poter sapere e capire se rimarrà da sola oppure se è l’inizio di un potenziale apocalittico effetto domino.
La notizia:
La “MF Global Holdings” una importante banca d’affari statunitense con sede a Wall Street, diretta e amministrata dal governatore del New Jersey, John Corzine, ha dichiarato bancarotta questa mattina alle ore 10 a New York, le ore 16 in Italia. Per una cifra intorno ai 6,3 miliardi di dollari soltanto per ciò che riguarda l’esposizione nei confronti dell’Europa.
La questione ci riguarda subito, eccome.
Nel pacchetto azionario della banca c’erano bpt italiani per un controvalore di 3,4 miliardi di dollari. Mercoledì mattina della scorsa settimana, il management della banca aveva tentato di rimandare in attesa che nel corso del week end arrivassero dall’Italia e dall’Europa buone notizie sul nostro paese. Il loro problema, infatti, consisteva nel rifiuto da parte delle banche internazionali di dargli credito accettando i bpt italiani, considerati in questo momento “vulnerabili” e quindi non graditi al mercato.
La banca ha atteso cinque giorni e per salvare il salvabile, questa mattina ha scelto la bancarotta.
In verità lo sapevano tutti (questa dovrebbe essere la vera notizia).
La scorsa settimana, infatti, in quattro sedute borsistiche aveva perso il 66% del proprio valore e nessuno avrebbe scommesso un dollaro sulla sua tenuta.
Dall’analisi dei libri contabili risulta che i maggiori creditori (per una cifra valutabile intorno ai 20/30 miliardi di dollari) sono JPMorgan e Deutsche Bank.
Secondo gli analisti di Wall Street questa è la vera ragione per la quale i bpt italiani stanno andando così male.


Ecco la vera faccia di Matteo Renzi, il "rottamatore" dell'Impero Italiota.

di Sergio Di Cori Modigliani

Notizia che apre la settimana:
La  glasnost  da noi, non passa.  Tantomeno la perestrojka.
Quantomeno, per il momento.
Siamo messi peggio di quanto non fossero (ed erano allora messi davvero maluccio) i cittadini sovietici a metà degli anni’80, quando il Grande Impero si stava letteralmente liquefacendo come risultato di un’implosione inarrestabile,  in  preda ad una violenta crisi economica, a  una spaventosa crisi finanziaria e  al diffondersi di una crisi sociale che non presagiva niente di bello. Se non altro per i gestori del potere.
Prendendo atto di quella che era la reale situazione del loro paese, le due persone più importanti dell’Urss, il capo dello stato Mikahil Gorbacev e il capo dell’efferato KGB Vladimir Putin, insieme e d’intesa,  decisero di cercare (quantomeno provare o tentare) di dare un vigoroso scossone al sistema per risvegliare le coscienze addormentate (e loro erano tra i domatori ipnotizzanti) nel tentativo di smuovere le acque.
Partì la cosiddetta “glasnost”, termine cui gli storici attribuiscono la sua fortuna mediatica proprio a Gorbachev, il che non è esatto. La celebre parola stava diventando famosa grazie a un imprenditore capitalista, di cittadinanza italiana, amico personale di Vladimir Putin (glie lo aveva presentato l’on. Armando Cossutta due anni prima a Mosca presentandosi  con una lettera d’intenti a firma Walter Veltroni) il quale era stato capace di aprire addirittura un mercato multimediale nel campo della produzione audio-visiva internazionale per i russi. Questo imprenditore, il primo e unico capitalista occidentale ad aver avuto accesso all’asfittico mercato sovietico –ancorchè gigantesco- si chiamava Silvio Berlusconi e veniva da Milano. Fu proprio Walter Veltroni a farsi mediatore e interprete delle sue esigenze imprenditoriali facendo in modo, attraverso Cossutta e Napolitano - il quale già godeva dei favori economici del premier che finanziava la sua fondazione studi “I Miglioristi” a Milano- di fargli chiudere il primo contratto in esclusiva con il potentissimo Ministero della Comunicazione audiovisiva del Popolo. Nell’aprile del 1985, Berlusconi firmava il contratto e acquisiva l’esclusiva mondiale per la vendita degli spazi pubblicitari su tutte le reti televisive dalla Siberia a Berlino est, da Praga a Budapest, da Sofia a Kiev, penetrando –con enorme sorpresa del resto del mondo capitalista- nel chiusissimo mondo sovietico e diventando l’interlocutore personale dell’odiatissimo Putin, con la benedizione del PCI in Italia. Berlusconi esportò in Europa la parola “glasnost” che vuol dire semplicemente (in russo) “pubblicità” e “vendita di pubblicità” (il cavallo di battaglia del premier). Uno slavista vi direbbe che la traduzione esatta sarebbe “pubblicità quando diventa di dominio pubblico”.
Testimoni dell’epoca, dotati di memoria, raccontano come l’abile fondatore di Mediaset andasse in giro per l’Inghilterra e la Germania presentandosi come “Good morning, I am the Glasnost Man”, l’uomo che aveva carta bianca per vendere all’occidente film, partite di calcio, eventi sportivi, valanghe di stupende modelle per riviste, industria cinematografica e tutto il settore del pret a porter, sempre a caccia di new entry e –soprattutto in quegli anni- dotate di una fisicità bianco/anglicana/protestante. In cambio, Berlusconi portava a Mosca contratti davvero deliranti –per non dire totalmente surreali- di aziende che pagavano a peso d’oro per offrire la pubblicità dei loro servizi sugli schermi russi, ucraini, georgiani, bulgari, ungheresi, come ad es. American Express, Visa e Mastercard in paesi in cui il 90% della popolazione non aveva neppure i soldi per comprare il pane e non sapeva neppure che esistessero le carte di credito. Per non parlare del fatto che non venivano neppure offerte. Anche se qualcuno le avesse voluto non avrebbe potuto averle: non esistevano banche che le fornivano. Si trattava semplicemente dell’inizio di una “ristrutturazione” mentale dell’immaginario collettivo, molto meno sanguinolenta di una bomba all’idrogeno, molto più clandestina e –quel che più conta- davvero molto più efficace: in meno di 30 mesi fece sgretolare il muro di Berlino.
Questo era il senso della glasnost.
Al quale, tre mesi dopo ci si aggiunse un’altra parola che sfondò nell’immaginario collettivo degli occidentali: “perestrojka” che in russo significa “trasparenza” e/o “ristrutturazione”, termine, questo, consentito dalla vecchia burocrazia del partito perché avevano letto nel termine “ri-strutturazione” l’estrema speranza di salvare il salvabile: dare una pittata all’edificio senza abbatterlo per costruirne uno nuovo.
Poi, è andata come tutti sanno.
Sono trascorsi 26 anni e se c’è qualcuno tra i miei lettori che ha meno di 30 anni, è probabile che non abbia mai sentito neppure parlare di queste cose. Lo capisco.
Peccato.
Potrebbero comprendere meglio la realtà di oggi.
Sono sempre stato un fortissimo oppositore di tutti coloro che identificavano in Silvio Berlusconi un uomo che rappresentava “la destra liberale conservatrice” e attaccava il cosiddetto “berlusconismo” identificandolo come manifestazione della destra.
Berlusconi è sempre stato (è la mia opinione molto personale) è tuttora (e lo sarà per sempre) l’ultimo grande leader sovietico. Non è certo un caso, a mio avviso, che in tutto il pianeta terra, Vladimir Putin sia l’unico essere vivente in grado di dargli ordini e l’unica persona esistente nei confronti della quale Berlusconi non ha mai osato proferire neppure un grammo di tiepido disaccordo su nulla. Nutre per lui un’autentica venerazione. Nella sala d’attesa dell’ufficio privato di Putin, a Mosca, c’è una fotografia molto grande di Berlusconi in costume da bagno, con la bandana in testa mentre  alza un bicchiere al cielo con una specie di frullato, sorridendo. Sotto, come didascalia c’è una frase scritta in italiano, russo, francese, inglese e tedesco: “Vladimir Putin è un dono del cielo, è la benedizione che Cristo ha voluto fare a tutti gli uomini di buona volontà”, e poi la sua firma autografa.
Il cosiddetto berlusconismo è un modello sovietico all’italiana, né più né meno.
Non è certo un caso che il più lucido e geniale professionista della scuola del vecchio giornalismo “british style” che il pensiero moderato conservatore, liberale e laico della destra abbia prodotto in Italia, il compianto Indro Montanelli, nel 1996 ebbe a dichiarare, nel tentativo di spiegare ai telespettatori la sua idiosincrasia esistenziale per Berlusconi: “L’Italia è l’unico paese capitalista al mondo dove il comunismo non è mai caduto”.
Gli italiani sono caduti in una banale trappola mediatica, abilmente confezionata, basandosi su una frase (autentico falso ideologico) lanciata da Eugenio Scalfari, il quale nel 1996 scrisse sul quotidiano la Repubblica:
“Silvio Berlusconi ha sdoganato la destra in Italia”.
In realtà, è vero il contrario, cioè: “Gianfranco Fini ha sdoganato Silvio Berlusconi consentendogli un’identità politica che non aveva mai avuto”.
Gli italiani vivono e hanno vissuto come i sovietici vivevano negli anni’80, ma non lo sanno.
Se è per questo, non lo sapevano neppure i sovietici, allora.
Loro, l’hanno scoperto dopo.
Se ne deve essere accorto, invece –perché è proprio questo che cerca di comunicarci con tutta la grancassa mediatica per lui disponibile- il sindaco di Firenze, Matteo Renzi.
Abbiamo trovato il nostro Gorbachev, al quale, chi lo sa, forse un giorno daranno anche il premio nobel per la pace.
Certo è che la strada per Matteo Renzi ha lo stesso identico lastricato che trovò Gorbachev sul suo cammino.
Basterebbe notare, leggere e decifrare la totale e collettiva aggressività di quasi l’intera sinistra italiana mediatica che in questi giorni hanno attaccato e stanno attaccando Matteo Renzi identificandolo come “un pericoloso uomo della destra che cerca voti a sinistra”, consueta argomentazione usata dai comunisti sovietici fin dal 1923 quando Josif Stalin diede inizio alla mattanza nel suo paese per eliminare ogni opposizione.
In un editoriale comparso su il fatto quotidiano, oggi, viene addirittura identificato come il cocco della Fininvest.
Perché Renzi/Gorbachev è davvero il primo esponente italiano della sinistra che, dall’interno, ha lanciato un programma di glasnost e perestrojka nel disperato tentativo di salvare il paese (e soprattutto i votanti per la sinistra) dal vuoto pneumatico perenne che non potrà che condurre a una catastrofe elettorale (non) annunciata.
Renzi/Gorbachev, infatti, si sta attirando l’odio stalinista della cosiddetta sinistra democratica italiana faziosa, nata pasciuta ben curata e ben oliata nell’odio anti-berlusconiano (che rende tuttora moltissimo perché evita di parlare di contenuti programmatici) smascherando una classe burocratica retriva, clientelare, vecchia ma non in senso anagrafico, bensì in termini politici, in termini di idee nuove che non siano soltanto un prodotto velinato degli apparatnichik. . Tant’è vero che stanno alterando le sue parole facendo credere che si tratti di un parolaio sempliciotto bamboccione malato di giovanilismo, cosa che non corrisponde ai fatti.
Il sindaco di Firenze ha semplicemente spiegato al popolo della sinistra che “Il re è nudo”.
Evidenziando un modello di comunicazione davvero minimo, (e mi dispiace raffreddare gli entusiasmi dei tanti sostenitori di Renzi) ma se non altro diverso e avanzato rispetto alla burocrazia sovietizzante (non è usata qui in termini ideologici bensì sostanziali) che impera sovrana all’interno del PD, saldamente ancorato in una interpretazione del mondo che corrisponde a un’idea della situazione nazionale, europea e planetaria che non esiste più da almeno 15 anni.
Mentre la nostra nazione, costretta a una querula e questuante esistenza da vassalli e valvassori nei confronti del signoraggio delle banche private e della finanza speculativa, avrebbe bisogno di dar vita a una stagione di movimenti sociali collettivi, solidali, consensuali, collaborativi e affratellanti, è invece costretta, oggi –complice l’intera truppa mediatica ben pagata (certo a voi non vengono a spiegarvelo) – a essere testimoni di questo attacco frontale contro l’unico amministratore di grandi città della sinistra che abbia avuto il coraggio di lanciare un grido di allarme e dare la sveglia alle menti pensanti.
Non è certo un caso che alla corte di Renzi si sia presentato Sergio Chiamparino, l’unico amministratore (ex) di città della sinistra, amato rispettato e voluto dai suoi cittadini, e non calato con una gru mediatica dall’alto (perché stabilito dai capi bastone della segreteria)  come sintesi inciuciona delle 17 correnti di burocrati avvizziti di cui è composto il PD:
Non penso che ci sia nulla di rivoluzionario nei messaggi di Renzi, né più né meno di quanto non ci fosse nei primi discorsi di Gorbachev.
Ma è indubbia la volontà dello scossone.
Così come è davvero inaspettata (per gli ingenui) la levata di scudi di tutta la sinistra.
Tutto qui.
Uno scossone, neppure tellurico, diciamo un terremoto 3,2 della scala Richter. Neppure un ferito.
Quasi nulla, in un paese normale.
Ma questo non è un paese normale.
Giracchiando e spulciando in rete, su facebook, e nella doviziosa massa di semi-quotidiani on-line al servizio della cosiddetta contro-informazione, ho letto questa mattina una violenza verbale e una tenace volontà di denuncia contro Renzi che sa di stalinismo.
Non credo sia una sorpresa per chi conosce i propri polli.
Abbiamo il nostro Gorbachev, non vi è dubbio.
Tutto sta a vedere se stiamo alla vigilia del crollo del nostro muro di Berlino, costruito con la pietra dell’omertà, il mattone del clientelismo, la cazzuola della collusione e l’ineffabile cemento armato dell’affarismo corrotto (presente in tutta la sinistra in quantità e qualità identica a quella della destra) o piuttosto siamo soltanto a un assaggio perché l’Impero Italiano neppure scricchiola e seguiteremo a vivere come i sovietici chissà per quant’altro tempo ancora.
Lo sapremo soltanto dopo.
Purchè ci facciano arrivare, al dopo.
Dalla loro reazione odierna, i burocrati avvizziti ben piazzati dentro le corti signorili rappresentate dai capi corrente, ci stanno spiegando che non intendono operare nessuna glasnost, nessuna perestrojka, nessun azzardo di cambiamento o modificazione.
E per il momento non consentiranno a nessuno di proporre alternative che non vengano lanciate, per iscritto, e poi megafonate dovunque, dalle stesse facce, le stesse persone, gli stessi nomi e cognomi che negli ultimi venti anni hanno sorretto con complicità collusa Silvio Berlusconi, facendo credere ai propri votanti di volergli andare contro.
Dashvidanja a tutti i miei connazionali per bene.
Vi auguro una splendida settimana.
 

sabato 29 ottobre 2011

Si allarga a macchia d'olio la protesta in Usa in seguito alla mano pesante della polizia. "Il gioco è finito: abbiamo licenziato il Grande Fratello".

di Sergio Di Cori Modigliani

“C’è la possibilità che nelle prossime settimane –perché qui sembra che il tempo stia subendo un’inattesa accelerazione esponenziale- diverse forze sociali, in forma solidale e d’accordo sugli obiettivi, decidano di dare inizio a una massiccia campagna nazionale per dar vita a uno sciopero generale di tutte le categorie lavorative. Sarebbe la prima volta dal 1912. Per alcuni un pericolo da evitare, che riempie di terrore. Per altri, invece, il recupero di un’antica e grande tradizione di lotte autenticamente popolari, trasversali, omogenee, che appartengono alla storia nazionale per la battaglia e l’affermazione dei principii basilari della democrazia fondata nel nostro paese”.

Non è Susanna Camusso ad aver detto questo. Neppure Bonanni.

Viene da oltreoceano.

Ed è l’opinione –espressa in una intervista radiofonica ieri notte, per passare poi dalla voce alla parola scritta sulla stampa, pubblicata sul proprio prestigioso quotidiano- del direttore del New York Times.

E’ l’effetto boomerang della politicizzazione e radicalizzazione del movimento “occupy wall street” cercato e voluto dalla estrema destra conservatrice dei tea party che avevano chiesto a gran voce (ottenendolo) i singoli interventi dei sindaci e dei governatori degli stati per liberare le piazze dai “perenni occupanti ormai in pianta stabile”.

Centinaia di arresti a Seattle, a Chicago, a New York, ad Atlanta, a St.Louis.

Soprattutto in California, a Oakland, Berkeley, Palo Alto, dove la polizia ha usato pesanti gas lacrimogeni aggredendo i manifestanti.

Il sindaco di Oakland ha scelto di comparire in televisione scusandosi con la popolazione sostenendo “che la situazione è sfuggita di mano alle forze dell’ordine e in verità è stata usata una mano eccessivamente pesante”.

Il fatto è che non si tratta più di Manhattan, o di due o tre città.

Perché nel frattempo sono diventate 456.

La prossima settimana sarà decisiva per il movimento statunitense.

I sindaci e i governatori, infatti, si trovano costretti ad affrontare un problema istituzionale e legale, per loro, inedito, inatteso e nuovo. Centinaia di migliaia di persone quotidianamente occupano parchi pubblici, marciapiedi, piazze, di solito di proprietà privata e la polizia è costretta a intervenire in seguito a denunce penali ricevute dai proprietari del suolo. I manifestanti sono tutti disarmati e applicano la tecnica della resistenza passiva: si buttano per terra con le mani incrociate dietro la nuca per manifestare “visivamente” la loro volontà pacifica e mostrare che non sono armati. La polizia è costretta a prenderli di forza, ammanettarli e portarli via arrestandoli. In almeno una cinquantina di casi hanno impedito alla televisioni locali di riprendere gli episodi.

Ma i tempi sono cambiati.

Basta un buon cellulare dell’ultima generazione per riprendere il tutto e lanciarlo su twitter, facebook e vibe, allargando la diffusione a macchia d’olio.

L’aspetto interessante –dal punto di vista dello studio relativo all’applicazione dei mezzi di comunicazione di massa- è la protesta da parte del management delle televisioni locali che osservano sbigottiti la perdita costante e quotidiana di audience televisiva: i loro telegiornali non mostrano i manifestanti, non danno informazioni sulle rivolte, e così la gente non guarda la televisione e si affida ai social networks e al tam tam elettronico per sapere che cosa succede e agire di conseguenza.

Dal 17 settembre –data d’inizio del movimento- fino al 27 ottobre, in quaranta giorni, su 1456 networks di informazione televisiva locale, l’indice generale di gradimento dei telegiornali è sceso del 48% e l’audience si è abbassata del 60%.

La gente comincia a capire che la televisione “non informa più, ma deforma”, quindi non serve.

L’enorme striscione apparso sul campus dell’università di Berkeley è una splendida sintesi di quella che, finora e per il momento, sembrerebbe essere una protesta sterile, che non ha raggiunto alcun obiettivo politico o pragmatico, ma che è un sintomo e un segnale molto forte di una inedita espressione delle giovani generazioni che si stanno appropriando di un uso diverso dei mezzi di comunicazione di massa.

The next revolution will not be televised” dice il cartello.

(la prossima rivoluzione non sarà trasmessa in televisione).

E’ la prima rivolta di massa, planetaria, che non ha bisogno del medium televisivo come cassa di risonanza. Davanti alla prestigiosa facoltà di architettura dell’università di Chicago, un grande striscione annuncia che “The Big Brother has been fired: game over” (Il Grande Fratello è stato licenziato: il gioco è finito).

La Afl-cio, la più grande organizzazione sindacale Usa (circa 25 milioni di iscritti) ha ufficialmente appoggiato il movimento ieri, venerdi’ 28 ottobre. E il movimento ha ringraziato stampando un manifesto espressionista statunitense del 1921, che vedete qui in bacheca. Ne hanno fatto un pamphlet di cinque pagine dove sono scritte le dieci proposte immediate per abbattere i costi, tassare i super ricchi e dare inizio a un "New Deal" risolutivo.

Per il prossimo 2 novembre è previsto un primo “test generale”: un raduno nazionale in preparazione del lancio di scioperi locali per andare verso una serie di scioperi generali organizzati.

E in California, la protesta comincia a trovare le prime forme di organizzazione stabile.

Questo è quanto, per il momento, dal fronte oltreoceano.

venerdì 28 ottobre 2011

La Grande Morte dei neuroni. Scompare James Hillman, favoloso libero pensatore, psicoanalista, umanista, filosofo, amante dell'Italia.


di Sergio Di Cori Modigliani

Ieri notte è scomparso lo statunitense James Hillman, 85 anni, il più celebre e innovativo psicoanalista vivente: l’ultimo erede della scuola classica di pensiero europea, allievo di Carl Gustav Jung, di cui era stato paziente, allievo, discepolo e poi –inevitabilmente- transfugo: espulso dall’istituto di psicoanalisi di Ginevra, diciamo così per eccesso di…libertà e indipendenza di pensiero.
E’ stato un grande e generoso pensatore.
Un grande Libero Pensatore. Sono indiscutibili, sia il suo merito che il suo talento.
Se n’è andato (come avrebbe detto Eduardo de Filippo) “morendo di morte”.
Per consunzione fisiologica, “esausto dalla vita” come aveva scritto qualche settimana fa a un suo nipote.
E’ morto mentre a Roma, a 8 mila chilometri di distanza, in una città che lui aveva molto amato, si verificava la più tragica manifestazione di massa mai svoltasi a Roma: 25 mila persone, eccitate da un bisogno fittizio, che per ore (dalle sei del mattino) sono state in fila provocando assembramenti, risse, botte da orbi, addirittura qualche coltellata, traffico bloccato in tutta la città per l’intera giornata, per poter acquistare a forti sconti gadgets elettronici alla moda: a Ponte Milvio, davanti al negozio di “Trony-sconti senza paragoni”.
Una massa multi-etnica, italiani ed emigrati insieme; gente che confessava di essersi indebitata pur di avere la possibilità di poter acquistare l’ultimo modello di cellulare e due televisori al plasma a prezzo stracciato “per metterne finalmente uno anche in bagno e un altro in terrazza”. Ci sono state scene di isteria, persone in preda a crisi di panico per essere arrivate quando ormai era tutto esaurito, che hanno rincorso altri acquirenti pregandoli, piangendo, di rivendere loro gli oggetti, pagandoli cinque volte di più.
La potenziale violenza di queste persone è stata davvero oscena. Mi ha spaventato.
Paragonata a quella esplosa il 15 ottobre nel corso della manifestazione degli indignati, finisce per attribuire ai black bloc quasi una deriva poetica. Essere testimoni di signore ben vestite che selvaggiamente prendono a borsettate due ragazzi, e non soddisfatte, ci aggiungono anche calci  e pugni per poi passargli sopra calpestandoli per impedirgli di agguantare il telefonino in vendita prima di loro, è una scena di violenza oscena.
La fine della capacità di ragionare. La morte dei neuroni.
E’ la pornografia sociale collettiva.
Quella del 15 ottobre è stata esplosione di rabbia maledetta, inconsulsa e incontrollata.
Un’altra storia.
E’ stata la scena di massa più delirante che la città di Roma abbia vissuto, dal mio punto di vista paragonabile soltanto a quella dell’8 giugno del 1940 quando Mussolini annunciò di aver dichiarato guerra a Francia Inghilterra e Usa e la folla si rovesciò per strada ubriaca di gioia, come se si trattasse di dover andare a una grandiosa festa collettiva.
E’ stato il Grande Trionfo dell’oligarchia tecnocratica che ha immediatamente avuto –per un curioso caso del destino- la possibilità e l’opportunità di tastare il polso all’Italia, proprio a ridosso delle fresche notizie sulla nostra economia e sulle misure prese a Bruxelles.
Se è possibile spingere al limite dell’isteria collettiva decine di migliaia di persone desiderose di acquistare un oggetto di cui non ne hanno alcun bisogno reale, è possibile convincerli di qualunque altra cosa. Domani, potranno accettare ogni misura economica.
Così, la capitale, ha risposto alla lettera del nostro governo: con un delirio di massa consumista.
Il prodotto di una società delirante, avrebbe detto James Hillman, di una società ormai perdente e perduta, perché “sta perdendo sempre di più il senso umano del proprio Sé, perché non cerca più la propria anima individuale, la propria anima nel mondo, ma ha finito per identificarsi con oggetti, simboli e feticci che sono la rappresentazione mercantile di bisogni inesistenti, costruiti ad hoc dalla pubblicità: è la definitiva sconfitta del desiderio. La perdita tragica dell’Eros”.
Circa venticinque anni fa aveva fondato una sua scuola di “psicologia archetipica” invisa  a tutte le accademie, che ruotava intorno all’assoluta necessità di recuperare la sentimentalità, la “pulsione del cuore erotico”, quella che lui chiamava “l’Anima Mundi”. Nonostante fosse, originariamente, un medico cresciuto come discepolo di Jung, riconosceva invece come i suoi due grandi maestri, due italiani: Marsilio Ficino e Giovambattista Vico.
L’ultima volta che era venuto “ufficialmente” in Italia era stato nel settembre del 2002, per partecipare ad un convegno di studi, invitato dalla fondazione Liberal. Fu allora (non a caso molto poco reclamizzato, quasi sottaciuto) che si lasciò andare argomentando il più grande e furibondo attacco contro il pericolo che –sempre secondo Hillman- gli italiani, come popolo e come etnia, stavano correndo nella loro suicida identificazione con una mercantilizzazione dell’esistenza.
“Ogni psicologia che voglia tentare di capire i membri della società attuale non potrà ignorare il nuovo «monoteismo» che ci governa: il Business. O, per meglio dire, l'economia capitalista senza regole” così si presentò al convegno  “Un «monoteismo» che, in quanto tale, ci impone una fede fondamentalista nei propri principi.  E che esercita il Potere, quello al quale ci si riferisce comunemente, ma anche il Potere più influente, cioè quello dentro di noi, che ci conforma a vivere e ad avere la percezione di noi stessi secondo idee come beni, scambio, costo, mercato, domanda, profitto, proprietà sono tutti i termini che appartengono ad un linguaggio tecnico, tecnocratico, tecnologico e soprattutto tecnici stico, che spinge sempre di più gli individui a pensare che sia davvero importante per le loro vite se la borsa va su o va giù, se una certa banca fa profitti oppure fallisce; spingendo la gente, quindi, a rinunciare all’analisi, alla riflessione e allo studio delle autentiche problematiche interne di ogni individuo: l’amore, il benessere, l’espressione del proprio autentico Sé”
Nel 2000 il suo nome venne identificato dall’amministrazione statunitense Bush come “un pericoloso intellettuale” perché era un americano patriottico fortemente in opposizione con l’idea business voluta da Bush and co., quella che, come ben sappiamo, ha finito per vincere e prevalere nel mondo attuale. Venne isolato dal tessuto sociale, non più intervistato, non più ricercato. CNN gli chiese una opinione sulle torri gemelle il 15 settembre del 2001, pensando di ascoltare l’opinione tecnica di uno psicoanalista. Lui rispose: “Uno psicoanalista potrebbe pretendere mai di analizzare i contadini, gli artigiani, le dame e i nobili del mondo medievale ignorando la teologia cristiana, come se fosse un atto irrilevante? La risposta, naturalmente, è no. Dunque, noi pensiamo di stare male per una nostra insufficienza affettiva e per questa ci curiamo, ma curarci significa chiederci su quale scala di valori stiamo misurandoci.  Dobbiamo quindi chiederci oggi, in questo tragico momento: qual è il metro di giudizio? Ci piacerebbe credere che sia l'amore a conformare il nostro destino.  In realtà, nella vita concreta, sono le idee del business le sole da cui non ci distogliamo mai, perché questa è la realtà che abbiamo creato. Siete tutti preoccupati all’idea se la borsa reggerà o non reggerà l’impatto del vile attentato, invece di occuparci del fatto che forse è arrivato il momento di cambiare strada, approccio, interpretazione esistenziale per evitare che, di qui a dieci o quindici anni al massimo, ci ritroveremo con un mondo povero di risorse interne affettive, emotive e psicologiche, a quel punto, in una società disumanizzata e disumanizzante dove il business detterà legge e non più l’Uomo, il terrorismo avrà vinto. Tra quindici anni, chi odia l’America, la libertà e la democrazia, incasserà il suo premio, insieme a tutti coloro che si occupano di business puro”.
Dopo questa uscita nessuno gli rivolse più la parola fino a gennaio del 2009, dopo l’insediamento di Obama alla presidenza.  Riceveva chi lo andava a trovare a casa sua, nella sua Atlantic city, nel New Jersey, dove si era ritirato, e dov’era nato nell’aprile del 1926. Veniva spesso in Europa, dove era sempre accolto con enorme rispetto. Sempre a proposito delle torri nel 2003 spiegava come “la tragedìa dell'11 settembre, per ora non produce nuova autoconsapevolezza, anzi è diventata –per paradosso- un’arma business speculare. I terroristi da ideologi com’erano un tempo si stanno trasformando in businessmen operativi, sanno che con le loro operazioni criminali ottengono vantaggi di profitto cash; in opposizione a loro ci sono i businessmen di tutto il mondo che diventano sempre più terroristi. Finiranno per cooptarsi a vicenda. Non mi sembra certo né un caso né un elemento da sottovalutare il fatto che, nel nome della sicurezza, il presidente Bush abbia definito tre giorni fa il dittatore criminale terrorista Gheddafi “un grande nuovo amico dell’America nella lotta contro il terrorismo”: sono parole che atterriscono e non possono che suscitare indignazione in ogni libero pensatore.  La reazione dell'amministrazione americana è stata una paradossale crescita del desiderio di Controllo, un vero e proprio attentato terrorista all’Eros, inteso come valvola di evoluzione amorosa della Specie Umana.  Un potenziamento a dismisura di quella che io chiamo  «civiltà dell'airbag»: il feticismo delle assicurazioni e delle istruzioni di sicurezza. Eppure, oggi ormai sappiamo che una ragazza di diciott'anni, con una bomba sotto la camicia, può far esplodere qualunque cosa.  L'idea di controllo militare entra per forza in crisi.  E allora, grazie a Dio, prima o poi dovremo cominciare a pensare in modo diverso, dovremo per forza cambiare, prima che sia la società a cambiare in peggio l’intera società. La mia speranza, profonda e ottimistica è che le idee del Potere cedano il posto al potere delle idee”.
Negli ultimi quattro anni teneva dei seminari sul “valore delle parole e dei simboli”. Aveva attaccato con forza una delle colonne del sistema di pensiero statunitense: l’efficienza.
“I lager erano il capolavoro dell'efficìenza;  Auschwitz è stato il sogno di ogni industriale privo di umanità: uccidevano cinquemila persone al giorno.  Quindi, l'idea di effìcienza, di per sé, se è sola, diventa demoniaca. Ha valore soltanto se viene applicata sotto la lente dell’Umanità”. 
Ma soprattutto le sue lezioni su come identificare (per riconoscerle) quella che lui chiamava “le squallide marionette del potere tecnocratico di oggi”. Tutto il suo pensiero ruotava intorno alla necessaria e immediata lotta per ricostruire il primato del sentimento e dell’Anima “Bisogna riflettere sulle figure che incarnano attualmente il Potere, oggi:  C'è chi ha autorità, prima ancora di avere potere:, e a quelli dobbiamo far riferimento, come ad esempio il mio amico Vaclav Havel; prima di diventare presidente della Repubblica Ceka, lui già "esisteva", era già una “Persona”;  e c'è chi invece ha solo il Potere senza il quale non sarebbe nulla perché ha rinunciato a  essere nel mondo, ha rinunciato a essere prima di tutto una Persona: chi era Bush prima di entrare alla Casa Bianca, o cosa sarebbe Berlusconi senza le sue televisioni e i suoi giornali?”.

Amava moltissimo l’Italia, la cultura italiana e gli italiani.
Faceva diventare matti i giornalisti americani, prima che esistesse wikipedia perché quando gli chiedevano di Freud, Jung e Reich, lui diceva sempre che il suo unico vero maestro era stato Giovambattista Vico e nessuno sapeva chi fosse. Famosissima l’intervista apparsa nel 1995 sul Chicago Tribune nella quale il giornalista attribuiva al grande pensatore napoletano vissuto nel sec.XVII la facoltà di essere “un celebre  psicoanalista junghiano di origine italiana”.
Quando venne in Italia nel 2002 per un convegno, scrisse una lettera aperta ai docenti universitari e ai professori di liceo italiani.
Una lettera molto lunga.
La riporto, integralmente, qui di seguito.
Spero che i miei lettori apprezzino.
E’ un bellissimo prodotto di una bella mente libera, aperta, generosa.
E’ stato uno splendido regalo culturale di un pensatore che ha amato tanto il nostro paese, a tal punto da essersi auto-eletto portatore della migliore tradizione italiana colta.
Leggere il suo omaggio dedicato a tutti gli insegnanti d’Italia, è un dovere intellettuale e spirituale, oggi, per chiunque intenda combattere contro la dissoluzione decadente del Grande Spirito Italiano.

In memoriam di un grande Padre.

                                 Lettera agli Insegnanti italiani
                                                         di
                               James Hillman


I miei pensieri oggi si reggono su una distinzione fondamentale che specificherò in questa frase iniziale: l’insegnare e l’imparare non devono essere confusi con l’educazione e possono persino essere impediti dall’educazione. Inoltre, se questa distinzione è fondamentale, allora sarà precedente ai progetti per la riforma dell’educazione, alla certificazione degli insegnanti, alle missioni e e agli scopi dei programmi educativi, ai contenuti dei curricula, e ad altri dibattiti che impegnano cittadini ed esperti.
La distinzione può essere posta in termini semplici e pratici. Qualcosa quasi naturalmente vuole imparare, specialmente nell’infanzia. Come usare una sega, cucinare un uovo strapazzato, ricordare i versi di una canzone? Dove va il sole quando scende "giù"? e dove sono i pettirossi d’inverno, e perché le anatre non annegano come i polli.? Qualcosa dentro di noi vuole sapere dove, come, quando, che cosa. Porre domande è innato alla psiche umana. Un bambino fa domande agli insegnanti, ai genitori, agli amici, persino ai libri, per soddisfare la sete di apprendere, anche fino al punto di un comportamento ossessivo, ritualistico, dove "perché ?" si ammucchia su "perché?" su "perché ?".
Possiamo imparare ponendo delle domande, ma impariamo ancora di più osservando, ascoltando, imitando, sperimentando e assorbendo sensualmente il mondo che ci circonda. Il bambino, come facciamo noi stessi, tiene un occhio all’esterno e un cuore aperto per il dove e il che cosa e specialmente il chi può soddisfare questo desiderio d’imparare.
In corrispondenza con questo desiderio d’imparare c’è un impulso a insegnare, egualmente innato. Qualcosa, di nuovo piuttosto naturalmente, vuole rispondere a una domanda, dimostrare, spiegare, correggere. " Su dammi quello; lascia che ti mostri come si fa." "Non tenere la sega così stretta. Lascia che siano i denti a fare il lavoro." " La pioggia? Ebbene, noi facciamo la pioggia nella nostra stanza da bagno: guarda come il vapore del bagno fa delle piccole goccioline sulla superficie fredda dello specchio."
La relazione fra l’imparare e l’insegnare è animale, naturale, data, dotata di ubiquità; non è tanto il prodotto della civilizzazione e della cultura quanto la loro base. La cultura chiama questa relazione tradizione; la civilizzazione, educazione. Comunque diamo forma a questa relazione, l’insegnante e l’allievo, la guida e l’apprendista, l’esperienza e l’innocenza, il sapere e l’ignoranza, il pieno e il vuoto sono costituenti costanti della vita interiore dell’anima. In quanto tali, appartengono non solo ai primi anni o alle prime fasi dell’indagine. La ricerca di un insegnante, di un insegnamento e il desiderio d’insegnare continuano in modo importante nella tarda vita . Uno dei momenti più miserevoli della tarda vita è quello in cui l’impulso ad insegnare viene frustrato: nessuno vuole ciò che si può insegnare.
Fra questi due impulsi e la loro affinità l’uno per l’altro viene l’Educazione. Immaginate l’Insegnare e l’Imparare come un fratello e una sorella, un poco perduti nel bosco, come Hansel e Gretel nella fiaba, catturati dalla strega, l’Educazione, e sempre sul punto di essere divorati dall’insaziabile appetito di quella strega. L’intervento dell’Educazione sembra piuttosto ragionevole: mira a facilitare la serendipità (1) della relazione rimuovendo la casualità e controllando il contingente. Soprattutto l’educazione esteriorizza e sistematizza la relazione nella "scuola" (istituzioni educative). Tenta di mettere in contatto i giusti (qualificati) insegnanti con i giusti (selezionati) allievi. Così l’insegnare e l’imparare divengono personificati in classi di persone: quelli che possono e quelli che non possono; quelli che sanno e quelli che non sanno. La vocazione innata diventa una professione accreditata. Il potere inevitabilmente fa seguito alla divisione in classi, che minaccia l’insegnare e l’imparare con la paura dell’"altro". Gli insegnanti temono i loro studenti; gli studenti i loro insegnanti, minacciando l’educazione stessa e conducendola a definire il suo ruolo non tanto come uno strumento di agevolazione, ma come un’autorità impositiva. In questo modo l’educazione separa l’insegnare e l’imparare. Pure la storia dell’autodidatta mostra che i due elementi potenziali nella natura umana sono funzioni complementari. Quanto ciascuno di noi ha imparato e ancora impara insegnando a se stesso da solo!
L’educazione richiede un intero esercito di amministratori, esperti, specialisti; divisioni in classi, unità, soggetti, discipline, dipartimenti; conseguimento di traguardi, gradi, prove, valutazioni; e naturalmente bilanci preventivi, supervisione, responsabilità misurabile. Pure l’educazione si suddivide in due specie: primaria e superiore, tecnica e classica, scienze ed arti; riparatrice ed avanzata. Il misterioso lavoro emotivo di insegnare e imparare viene cooptato nelle forme esteriori che mirano a farlo avvenire. In verità, l’insegnare e l’imparare scompaiono in vicoli laterali e in occasioni segrete. Dei lunghi anni trascorsi nella scuola quanti pochi episodi di illuminazione conservati nella memoria, quanti pochi momenti di insegnamento che hanno acceso un fuoco! Anche per gli insegnanti solo una manciata di studenti da tante classi realmente "connesse" restano ben presenti nella memoria.
Potrebbe sembrare che la distinzione che sto tracciando segua un vecchio spartiacque fra ciò che William James - che fu lui stesso molto interessato all’insegnamento (Conversazioni con gli insegnanti, 1899) - chiama le menti "dure" e quelle "tenere". Questa divisione domina la teoria pedagogica come l’opposizione tra disciplina e libertà, tra il classico e il romantico, fra le nozioni del bambino come selvaggio e il vuoto bisognoso del battesimo e la disciplina o il bisogno innato assennato e creativo di opportunità ed espressione. Potrebbe sembrare che la mia enfasi sul desiderio istintivo di imparare e insegnare segua un lato di questo spartiacque, cioè il Romanticismo di Rousseau, Pestalozzi, Frobel, Montessori e Alice Miller, i quali tutti sottolineano l’elemento idiosincratico piuttosto che quello nomotetico, privilegiando l’individuale sulle necessità collettive della società.
Ma questa non è la mia intenzione. Io sfuggirei da questo spartiacque del tutto, perché la coppia insegnare-imparare, nonostante preceda l’educazione non può subire un’interpretazione letterale in un programma d’educazione. Io cerco di fuggire dalle ideologie che annunciano, o denunciano, programmi in ciascuna direzione: da una parte, modelli più duri di contatto intensificato fra insegnanti e studenti, o, dall’altra, una tenera educazione in classi collaborative e l’istruzione scolastica a casa. Se io optassi per un progetto diventerei un educatore, mentre sono solo uno psicologo. Cerco di descrivere ciò che giace nell’anima dell’educazione piuttosto che prescriverne la forma. Voglio solo che l’affinità innata fra l’insegnare e l’imparare, e l’idea di ciò come di un fatto primordiale, restino vive nell’anima.
L’educazione oggi assorbe il cinque per cento del prodotto mondiale nazionale lordo; l’educazione è la più grande industria del mondo. Enormi difficoltà stanno schiacciando le scuole nel mondo - l’enumerazione delle quali sta quasi schiacciando anche questa conferenza. Sebbene queste difficoltà appaiano nella psiche turbata di insegnanti e allievi, esse non sono radicate nell’insegnare e nell’imparare. Infatti l’immediatezza di quel rapporto è un porto sicuro, una salvezza dai problemi dell’educazione. Per la gioventù ci sono pochi rifugi, poche fughe dai problemi dell’educazione contro i quali c’è tanta ribellione, sia diretta - come il rifiuto della scuola, la violenza e i desaparecidos o scomparsi - sia indiretta, nei sintomi psicologici che ostacolano l’imparare, ad esempio "i disturbi dell’imparare". Gli insegnanti, presi fra le richieste dell’educazione da una parte e la ribellione degli studenti dall’altra, sono in una posizione simile a quella di un medico verso il paziente, di un avvocato verso il cliente, di un giornalista verso la fonte, del prete verso il peccatore.
Sono obbligati dalla loro fedeltà alla loro coppia a stare con i loro studenti i cui sintomi rappresentano una resistenza a quel disordine generale dell’imparare chiamato "educazione".
Immaginate! La psiche si ribella contro il vero imparare che una società guidata dall’economia insiste nel ritenere di primaria importanza. Devi ricevere un’educazione, avere un’educazione, perché allora sarai più vendibile, servendo l’economia e alzando il Pil. Ecco perché gli insegnanti sono risorse nazionali, fornire le loro prestazioni soddisfa le quote di produzione stabilite per loro! L’educazione come merce, come un investimento di capitale che serve alla competizione del libero mercato. E’ questo ciò a cui i sintomi dicono "no" ? E’ questo ciò che il rifiuto della scuola in definitiva significa?
Qualcosa si sta ammalando nel cuore dell’educazione; è malata nel cuore, e questo cuore non può essere ristabilito con semplici esercizi di base o con una nuova dieta dell’anima, né questo cuore può essere sostituito da una macchina ad alta tecnologia.
Possiamo osservare il cuore dell’insegnare in azione in tre esempi tratti dalle biografie di scrittori distinti. James Baldwin il romanziere e saggista americano, ricorda: " un edificio scolastico… terribile, antico; scuro, cupo e a volte pauroso. In una classe di cinquanta bambini, per lo più neri, un’insegnante Orilla Miller - una giovane insegnante di scuola bianca, una donna bellissima… che amavo… in modo assoluto, dell’amore di un bambino", riconobbe una qualità in questo bambino nero di dieci anni. "La giovane donna del Midwest era sorpresa dalla vivezza d’ingegno di questo bambino dei bassifondi". Scoprirono un interesse comune in Dickens; lo leggevano entrambi ed erano ansiosi di scambiare opinioni. Anni più tardi, dopo essere diventato famoso, Baldwin scrisse alla sua vecchia insegnante, chiedendo una fotografia. "Ho tenuto il tuo volto nella mia mente per molti anni".
Un altro resoconto; questo di Elias Kazan, lo straordinario regista cinematografico: "Quando avevo dodici anni ebbi un colpo di fortuna, l’incontro con la mia insegnante dell’ottavo grado, Miss Shank influenzò il corso della mia vita… Mi prese in simpatia… fu lei a dirmi che avevo dei begli occhi marroni. Venticinque anni più tardi, mi scrisse una lettera. ‘Quando avevi solo dodici anni’ scrisse ‘la luce cadeva dalla finestra attraverso la tua testa e la tua fisionomia e illuminava l’espressione del tuo volto. Pensai alle grandi possibilità che erano nel tuo sviluppo e …’. Miss Shank si avviò sollecitamente a sottrarmi alla tradizione della nostra gente riguardo al figlio maggiore e a indirizzarmi verso… le discipline classiche".
Un terzo esmpio è quello di Truman Capote, un tipico "bambino difficile", che faceva tutto quello che poteva per disturbare la classe e provocare i suoi insegnanti. Ma incontrò la simpatia della sua insegnante di scuola media, Miss Wood. Condividevano un interesse per Ibsen. Miss Wood invitò spesso il giovane Capote a cena, lo favoriva in classe e incoraggiava i suoi colleghi a fare altrettanto.
"Mi prese in simpatia" ha detto Kazan; " Ho tenuto il tuo volto nella mia mente per molti anni", ha detto Baldwin; Miss Wood invitava Capote a casa per mangiare insieme e gli forniva ciò che desiderava in classe. Miss Shank "mi disse che avevo dei begli occhi marroni", ha detto Kazan. Questi schizzi ci dicono che c’è un modo di valutare indipendente dagli esami. L’insegnare vede con l’occhio del cuore. Noi non crediamo più in questa specie di visione: "…la luce cadeva dalla finestra attraverso la tua fisionomia e illuminava l’espressione del tuo volto". Ma al giorno d’oggi, forse specialmente negli Stati Uniti, vediamo solo con l’occhio dei genitali. L’attrazione che ha appassionato questi allievi e questi maestri oggi sarebbe seduzione, manipolazione, persino abuso. Agli insegnanti è consentito di essere chiamati dalla bellezza; l’educazione permette che l’eros si risvegli?
Ma se dovesse risvegliarsi, allora l’eros non corromperebbe l’obiettività e l’eguaglianza?
Può darsi che proprio qui risieda la ragione più profonda dei computers all’interno dell’aula: essi sono completamente imparziali. Non c’è eros nel programma.
Niente eros neppure nell’accademia - una mancanza comune in istituzioni di istruzione superiore. I professori non ascoltano le lezioni degli altri, leggono i saggi degli altri. Borsisti e ricercatori non amano l’amministrazione; gli amministratori non amano i professori. Il personale è "di una classe più bassa", persino al di sotto degli studenti. Gli studenti mettono in contatto i loro cuori affamati con la loro sete di conoscenza che sarà mandata via dalle vane preoccupazioni della facoltà, loro stesse in cerca di amore. La trappola sessuale diviene l’unico accesso all’eros nell’università.
Gli esempi di Baldwin, Capote e Kazan rivelano qualcosa di particolare riguardo all’eros dell’insegnare. Ciò che fece riunire le coppie, la reciproca attrazione, fu una visione comune. L’amore fiorì perché condividevano una fantasia. Per Baldwin e Miss Miller, Dickens; per Capote e Miss Wood, Ibsen e Undset; per Kazan, la visione di un futuro umanista. Essi percepirono la bellezza l’uno nell’altra e permisero la vicinanza. (Capote veniva a casa per cena; Miss Shank studiava il volto e gli occhi di Kazan; Miss Miller dava a Baldwin il suo tempo privato). Quando l’eros è represso cade in un’intimità clandestina. Pure impariamo attraverso la vicinanza - osservando le mani del maestro al lavoro, ascoltando le inflessioni vocali, contagiati dalla gioia del compito. Uno degli studenti di Socrate dice (Teagete 127 Bff): " Ho fatto progressi ogni volta che ero insieme a te… e sono progredito più rapidamente e profondamente quando mi sono seduto vicino, accanto a te e ti ho toccato". Mentre per l’educazione nello stesso passaggio (128B) Socrate dice: " Non so niente di questo raffinato sapere dei Sofisti; io ho soltanto un piccolo corpo di sapere: la natura dell’amore (tà erotika)".
E’ importante mantenere distinte nella mente le molte specie di eros. I filosofi della Chiesa potrebbero elencare una quarantina di specie di relazioni amorose, come i soldati in armi, i compagni in un viaggio, le suore in un ordine, il servo e il padrone, fratelli e sorelle, e naturalmente madri e figli, mariti e mogli. Ciò che in particolare il mentore divide con il suo o la sua protetta è un amore nato da una fantasia comune. La loro dedizione non è tanto per ciascuno come amanti quanto - in questi casi di scrittori - per la lingua inglese. I loro demoni sono in armonia, ciascuno aiuta l’altro a soddisfarsi. Insegnare e imparare sono necessari l’uno all’altro e, come Hansel e Gretel si salvano l’uno con l’altro. Così l’insegnante non è un genitore sostitutivo che procura allo studente i soldi per il pranzo e scarpe nuove. Miss Miller e Miss Wood e Miss Shank nutrivano le anime degli studenti e mettevano il fuoco nei loro spiriti.
Prima di concludere questo discorso rivolto agli insegnanti mi piacerebbe rendere più chiaro un pensiero. Nonostante il titolo di questo Convegno, la base dell’insegnamento nel Ventunesimo secolo non è diversa da quella di qualunque altro, anche se il contenuto e la forma dell’educazione subiscono le esigenze della storia. Il fatto che l’educazione presti il suo corpo alla piazza del mercato nella nostra epoca, non è diverso dalla sua prostituzione alla dottrina politica nell’era di Stalin e Hitler, o Mao e Pol Pot, o alla Chiesa nella Francia della Scolastica, o all’ortodossia musulmana nelle scuole del Medio Oriente. All’insegnamento si chiede sempre di sottomettersi senza protestare di fronte ai dogmi educativi: lo testimoniano il destino di Socrate, la persecuzione degli insegnanti irlandesi nelle scuole di trincea durante la dominazione inglese. A causa del potere degli istituti educativi, il vero imparare, analogamente alla psicanalisi, diventa sovversivo. L’imparare deve nascondersi all’interno dell’educazione come abbiamo visto nei tre piccoli bambini e nei loro insegnanti, dove una corrente erotica lega in modo sovversivo l’insegnante e lo studente. Marsilio Ficino, uno dei più autorevoli insegnanti d’Europa di sempre, si riferì a questo imparare nascosto e sovversivo come contro-educazione. Noi impariamo ciò che è ufficialmente insegnato, e re-impariamo il contrario o ciò che sta più profondamente nel suo interno, vedendo in esso e attraverso esso, decostruendo, diciamo, con il chiedere ulteriormente: "questo materiale, questo metodo, questa ipotesi che cosa significano per l’anima?". La contro-educazione interiorizza e individualizza, come ha detto Ficino, le uniformità dell’educazione. Individualizzare l’educazione, cioè collocare l’imparare all’interno dell’anima di qualcuno, esige l’eros, non perché l’individualizzare favorisce uno studente a scapito di un altro, il cosiddetto "prediletto dell’insegnante", ma perché l’eros incendia il particolare stile di desiderio di ogni persona.
Con "uniformità" mi riferisco a modelli di prove, misure di intelligenza, gradazioni attraverso livelli, libri di testo uniformi, divisioni del tempo, architettura delle aule scolastiche, ecc. L’idea autentica dell’uniformità educativa, dell’universalità stessa, è stata radicalmente sfidata teoricamente da Howard Gardiner, a Harvard, e molto tempo fa da Giambattista Vico a Napoli. Per Vico i veri universali dai quali potevano essere derivati i modelli sono i miti classici, che ha chiamato universali fantastici, cioè i tipi archetipici che governano l’immaginazione e dai quali dipende lo stesso pensiero. Questi universali mostrano come la natura umana immagina i suoi problemi, viene a contatto con essi, ed effettua scelte di valore. Essi offrono un modo di pensiero umanista o quella che può anche essere chiamata una base poetica della mente che è capace di superare il nichilismo etico dell’educazione contemporanea e l’ottusità estetica travestiti e rinforzati dal "metodo obiettivo".
Così, seguendo Vico, la base archetipica della mente è un substrato sia di logica che di sogno, di scienza e di arte, di passato e di presente, di obiettività e di soggettività. Mentre Vico propone le molteplici persone e storie e valori dei miti nella loro immensa differenziazione, Gardiner mina l’uniformità dimostrando che l’imparare dev’essere molteplice perché l’intelligenza è molteplice. L’imparare e l’insegnare devono seguire una varietà di pensieri. Una dimensione non va bene a tutto. Anche la nozione di "misura" può essere liberata dalla sua angusta denotazione - significati matematici e statistici - per modi che tengono chi e perché e che cosa è stato misurato; per esempio, l’estetica, la narrativa, la morale o le capacità del corpo.
Ma ora sto andando oltre il mio semplice tema e sto trasgredendo nel campo delle idee educative, idee per rifondare l’educazione lungo linee che derivano da Vico e Gardiner, il che implica che il primo compito dell’educazione sarebbe di psicoanalizzare se stessa, di decostruirsi trovando i miti che suggeriscono i suoi programmi. Pure, qualunque cosa venga proposta da chiunque, dovunque, la techne e la praxis di tutti i programmi educativi, la realtà di ogni adempimento dipende dall’affinità naturale fra la coppia archetipica:
l’Insegnante e lo Studente.

Nota
Dall’inglese serendipity. Lo scoprire qualcosa di inatteso e importante che non ha nulla a che fare con quanto ci si proponeva di trovare o con i presupposti teorici sui quali ci si basava. Il significato del termine trae origine dalla fiaba persiana I tre principi di Serendip, nella quale gli eroi protagonisti posseggono appunto il dono naturale di trovare cose di valore non cercate.

James Hillman, Mantova 10 settembre 2002


P.S. In Italia l'editore Adelphi ha pubblicato tutte le sue opere.