giovedì 28 giugno 2012

Esce in Italia il libro di Gigi Di Fiore sulle stragi degli alleati nell'Italia del sud tra il 1944 e il 1945



di Sergio Di Cori Modigliani


Gigi Di Fiore è un giornòrico. Un animale italiano.
Una specie rara, mutuata dalla cultura britannica, che da noi, in Italia, ha trovato un ambiente favorevole nel quale innestarsi e proliferare. Purtroppo in via di estinzione. Gli animali che appartengono a questa specie hanno una natura doppia e parallela: sono topi di biblioteca, perché amano il lavoro di documentazione, di archivio, la ricerca delle fonti, le verifiche, i controlli, e sono in grado di trascorrere un lunghissimo periodo nel silenzio e nella solitudine delle biblioteche specializzate pur di scovare quel foglietto che consentirà loro di poter sostenere o rigettare una certa tesi. E’ il lavoro dello storico. Poi c’è l’altro: legato all’attualità, alla cronaca, alla narrativa esistenziale delle persone, dove il fascino sta nel sentirsi partecipi della precarietà dell’esistenza e assaporare il gusto della consapevolezza che i propri articoli hanno un valore che dura soltanto lo spazio di un mattino, perché il giorno dopo finiscono per avvolgere il pesce al mercato. E questo è il lavoro del cronista, del giornalista professionista di quotidiano.
In Italia, questa specie, che dovrebbe essere cautelata e protetta da un immaginario fondo bio-culturale finanziato dalla presidenza del consiglio dei ministri, ha avuto nel passato dei grandi protagonisti, da Curzio Malaparte a Mario Panunzio, da Indro Montanelli a Enzo Biagi, da Giorgio Bocca a Giampaolo Pansa.
Gigi Di Fiore appartiene a questa categoria, quelli sono i suoi colleghi di specie.
Storico meridionalista affermato, si è occupato spesso di problemi inerenti alla sua zona originaria, la Campania, nel tentativo di fornire una lettura diversa da quella ufficiale, come ad esempio in un suo precedente libro, “Controstoria del Risorgimento”. Ma allo stesso tempo, egli è un giornalista, inviato speciale de il quotidiano napoletano “Il Mattino”, e quindi segue il polso degli umori della nazione perché valuta, relaziona e riferisce al pubblico ciò che accade ogni giorno nella realtà vera, non virtuale.
Certe volte, gli animali giornorici, come lui, hanno anche una terza immagine, quella del romanziere, che in realtà è la sintesi delle altre due facce, quella dello storico e del giornalista. Tant’è che in una sua fortunata produzione letteraria, uscita dall’editore Grimaldi (“Gli ultimi fuochi di Gaeta 1860-1861”) Gigi Di Fiore ha scritto un’opera di fantasia, un romanzo risorgimentale, dove la cronaca e la storia si fondono nella libertà della narrazione consentita dalla scelta del mezzo. E il risultato è davvero ottimo.

E’ uscito da poco la sua ultima fatica “Controstoria della Liberazione”, èdito da Rizzoli, un libro che si occupa di analizzare il fenomeno (dal punto di vista storico) dell’occupazione americana nel meridione italiano nell’arco 1944-1945 quando gli americani ci liberarono dall’invasione nazista. E va da sé, Di Fiore lo fa come se fosse stato inviato oggi dal suo quotidiano Il Mattino in una immaginaria corrispondenza nel passato. Una storia diversa, non ufficiale, che ci racconta obbrobri, collusioni, stragi, stupri, eventi sottaciuti, aneddoti storici documentati, che sono succosi e stimolanti per aprire un dibattito, oggi più vivo che mai, su ciò che è accaduto in Italia e sui fondamenti della nostra repubblica. Uno strumento culturale davvero molto utile, che consiglio a tutti.

Lo storico-giornalista Gigi Di Fiore, molto gentilmente, mi ha concesso quest’intervista per il blog, che io condivido qui con tutti voi.





D: Perchè, questo libro, adesso?
R: Ho scritto questo libro in questo momento, come continuazione del mio lavoro di controstoria sul Risorgimento. L’altro periodo storico fondamentale per l’Italia è stata la Resistenza-liberazione e allora ho sentito la necessità di vedere se, come nel 1861, anche nel 1943 si sono verificate vicende poco chiare che hanno alimentato squilibri tra nord e sud. Senza dimenticare che, il prossimo anno, saranno 70 anni dall’8 settembre e sicuramente si moltiplicheranno pubblicazioni su quel periodo. Ho un po’ anticipato l’onda, come già feci per il Risorgimento.


D: Le risulta che gli alleati si sono comportati nello stesso modo anche nell'Italia settentrionale? Se sì, come mai non se n'è mai parlato? Se no, perchè?
R: Non ho in verità approfondito i comportamenti degli alleati nell’Italia settentrionale. Di certo, e ne parlo anche nel mio libro, il corpo di spedizione coloniale francese compì stupri su donne anche in Toscana. Sicuramente, però, la Resistenza e le formazioni partigiane nel centro-nord hanno contribuito a limitare comportamenti da occupanti-vincitori degli alleati nelle regioni settentrionali. Non va dimenticato che nel Mezzogiorno per due anni ci fu una forma di occupazione anglo-americana e come occupanti si comportarono gli alleati, con tutte le degenerazioni e gli atteggiamenti violenti e prevaricatori che ciò comporta. Al sud non ci fu Resistenza, ma solo occupazione alleata in attesa della completa sconfitta del nazifascismo in Italia.


D:  Esiste ancora una questione meridionale? E' mai esistita? Se esiste ancora, ed è un problema, perchè secondo lei non è stata mai affrontata in modo tale da tentare di risolverla?
R: La questione meridionale fu posta come problema eccezionale vent’anni dopo l’unità. Le politiche economiche unitarie nord centriche, i comportamenti delle classi dirigenti meridionali che cercavano di difendere poteri e squilibri sociali contribuirono a creare una vera “questione”. Un tema affrontato sempre con leggi eccezionali, con paternalismo, con diffidenza, con atteggiamenti clientelari e la connivenza a mantenere lo status quo dei latifondisti e dei politici del sud.


D:  Se lei si trovasse, come giornalista, a un dibattito televisivo e avesse davanti Cavour, il quale con entusiasmo sostiene che adesso che l'Italia è fatta basta fare gli italiani, lei, che cosa gli direbbe?
R: Che probabilmente gli italiani tra loro si conoscono ancora poco e ragionano con pregiudizi e luoghi comuni. Basterebbe diffondere più conoscenza, anche sui processi storici che portarono all’unità nelle diverse aree del Paese, per creare uno spirito unico e cercare, se ce ne sono, ancora le ragioni che ci spingono a difendere l’unità nazionale.


D:  Perchè, secondo lei, pochissimi -per non dire nessuno se si fa eccezione di Curzio Malaparte e in parte Michele Prisco- ha mai avuto l'ardore o l'ardire di denunciare ciò che lei ha fatto nel suo libro?
R:  Per motivi di politica internazionale. Siamo stati dei vinti nella seconda guerra mondiale, dovevamo farci accettare tra le grandi potenze del dopo guerra, mondandoci dal peccato originale di essere stati alleati della Germania nazista. Coprire le storture compiute dagli alleati sul nostro territorio nazionale è stata quasi una necessità da realismo politico, in un’ottica anche di lettura storica che vede divisioni tra bianco e nero. La storia è invece anche grigio.


D:  Lei ritiene, come sostengono diversi storici statunitensi, che il velo di censura storiografica sugli eventi del 1943 nel meridione italiano siano stati un prezzo che l'Italia ha dovuto pagare in cambio del piano Marshall? Se sì, lei pensa che questa possa essere una delle motivazioni alle quali ascrivere il perdurante stato di servilismo alle potenze straniere?
R: Certamente, sono d’accordo. Quei soldi furono poi dirottati in gran parte al nord, perché il sud doveva risarcire le spese che gli occupanti avevano sostenuto nel Mezzogiorno. Sì, il nostro servilismo, i silenzi sono stati il prezzo per farci accettare nel nuovo consesso internazionale. La Francia ancora nega gli stupri e su quegli eventi manterranno il segreto di Stato per altri 40 anni.


D:  Nell'altro libro da lei scritto sulla Controstoria del Risorgimento, la storia delle lotte per l'unità d'Italia vengono presentate secondo un'ottica diversa da quella ufficiale. Perchè? Lei ritiene che ancora oggi non ci sia in Italia la libertà e la possibilità di poter aprire una vertenza critica ed evolutiva sul piano del dibattito culturale su quella fase della nostra Storia? Pensa che sarebbe auspicabile e importante?
R: Credo che ogni approfondimento di verità sia utile alla conoscenza. Per ogni momento della storia. Risorgimento compreso. Oggi si pensa che svelare i retroscena o le brutte pagine di quel periodo significhi mettere in discussione l’unità. Non è così, come ho detto prima la conoscenza può accrescere lo spirito unitario. Non il contrario.


D:  Che cosa bisognerebbe fare, secondo lei, per dare un contributo alla costruzione di un tessuto intellettuale italiano di autentica concordia nazionale tale per cui si possa investirerisorse umane, economiche e intellettive, per dare un contributo alla risoluzione dei problemi del meridione?
R: Bisognerebbe in primo luogo cominciare a combattere certi atteggiamenti culturali meridionali, come l’eccessiva tendenza alla lamentela o la tentazione ad aspettare che altri risolvino i propri problemi. Poi, bisognerebbe far capire a certi settentrionali che non esiste primato intellettuale o civile in alcuna parte del Paese. Insomma, abbattere l’eredità delle teorie lombrosiane, per sentirci tutti parte di una stessa nazione.


D:  Lei pensa che le giovani generazioni meridionali siano al corrente di ciò che è accaduto nel 1943 durante l'invasione americana? Come reagiscono i giovani, oggi, quando leggono questo libro? Secondo lei, come si sentono gli americani, quando lo leggono?
R: Non credo che i giovani ne sappiano molto. Anche per questo ho voluto scrivere questo libro. Gli americani credo siano un popolo che, più di ogni altro, è stato sempre disposto a mettere in discussione la propria storia. Lo hanno fatto per il Vietnam e anche, più lontano, con la riabilitazione del popolo pellerossa. Siamo noi, in Italia, che non riusciamo a fare fino in fondo i conti con la nostra storia, prigionieri di un’etica da buoni e cattivi che non ci fa vedere fino in fondo tutti i pezzi del mosaico del nostro passato. Nel bene e nel male.


D: Le risulta che ci siano stati tentativi, nel meridione, negli ultimi 60 anni, di raccontare le vicende di cui lei parla nel suo libro, oppure è stato steso un velo totale di omertà? Perchè raccontarlo, oggi, può essere importante per la coscienza europea e non soltanto italiana?
R: C’è stata la letteratura, penso a Moravia o a Malaparte. Pochi studi universitari. Nessuno ha messo insieme, in maniera organica, queste vicende. Capire come siamo stati liberati, perché alcune vicende pesano sul nostro Dna e sugli squilibri tra nord e sud può aiutare a formare una maggiore coscienza critica in tutti, facendoci sentire eredi di quell’epoca e consapevolmente cittadini italiani che capiscono più l’oggi perché conoscono come l’Italia arrivò a diventare l’attuale Repubblica.


3 commenti:

  1. questi articoli rendono il blog ancora più interessante

    RispondiElimina
  2. Salve modigliani.Secondo lei,se due aree geografiche hanno in partenza due economie di diverse dimensioni....utilizzando una moneta unica senza fluttuazioni livellatrici diverse.Chi se ne avvantaggia nell'export?L'economia piu forte o quella piu debole?Avra capito dove voglio arrivare.Una situazione storica simile a quella attuale inerente a zone piu grosse.Un abbraccio

    RispondiElimina
  3. Complimenti vivissimi.Continuerò a leggerla con simpatia ogni giorno.

    RispondiElimina