lunedì 30 aprile 2012

In Usa "occupy wall street" lancia lo sciopero generale il 1 maggio. Mentre in Italia, la sinistra democratica perde definitivamente la testa.


di Sergio Di Cori Modigliani


Un mio lettore pensante (che si firma Serylam) in un suo commento, conclude il suo intervento così: “Io per adesso qui e in moltissimi altri siti vedo solo discussioni sui principi, sui massimi sistemi e su ciò che è giusto o sbagliato. Mi piacerebbe leggere qualcuno che mi spiega "come" pensa di riuscire a coinvolgere il famoso 99% con argomenti diversi da: "perché è giusto così", "perché io vi restituisco il senso".
E’ una maniera argomentata di sintetizzare il disagio collettivo che, inevitabilmente, finisce per sfociare nella madre di tutte le domande: “Ok, abbiamo capito, le chiacchiere stanno a zero…allora, che si fa?”.
Non sono un leader politico, e quindi non sono in grado di rispondere (con efficacia e un immediato programma esecutivo) a questa domanda che appartiene a tutti noi. Il mio obiettivo dichiarato (e quello dei miei post) consiste nell’allargare lo spettro del confronto e degli interrogativi e arrivare, per l’appunto, insieme ad altri umani cittadini, a trovare un Senso Comune che faccia scattare un meccanismo di creatività che poi sfocerà in azioni precise e contundenti. Penso, quindi, che sia importante avere informazioni su ciò che accade e su come funzionano i meccanismi dell’esercizio del potere. Se non sappiamo con esattezza matematica come è fatta e òpera la macchina tritatutto non sarà facile né possibile disinnescarne il funzionamento.
 Essendo la collettività (prima ancora di essere massa) anche la somma di tutti gli individui che la compongono, penso che il primo passo consista in un atto individuale e soggettivo, nel riconoscere i propri comportamenti, usi, abitudini, e modificarli prendendo atto della situazione, in modo tale da essere pronti a “essere collettività” su una posizione attiva e forte, e non soltanto passiva e dipendente, cioè massa al seguito.
La settimana che inizia oggi ci prospetta una situazione generale in occidente che in questa fase io considero decisiva. Non so se sia un caso, una strategia, una scelta. Oppure si tratta di quella che Hegel chiamava “l’astuzia della Storia”.
Perché ci sono un cumulo di scadenze elettorali che collimano e quindi sarà possibile avere una esatta verifica sul campo che chiarirà la situazione generale. Le votazioni in Francia per le presidenziali (sì al burattino della Merkel oppure no?); le elezioni in Grecia; le elezioni in Irlanda; la decisione “ufficiale e burocratica” della BCE rispetto al Regno d’Olanda in data 4 maggio (che ha detto “no all’austerity” e ha sciolto il parlamento andando alle elezioni anticipate a settembre creando un precedente fondamentale in Europa); la decisione ufficiale e burocratica della Unione Europea il 7 maggio riguardo la Romania che in data 25 aprile ha bocciato il piano di austerità, ha sfiduciato il governo e ha clamorosamente contestato le lettere di Mario Draghi rispedendole al mittente; lo stato di salute e di lotta di “occupy wall street”; il rinnovo dei consigli di amministrazione in Goldman Sachs, Merryl Lynch e Royal Bank of Scotland dove falchi e colombe si affronteranno tra di loro all’ultimo sangue; la nota ufficiale dei mercati internazionali sull’autentico stato di salute o meno delle banche italiane; e dulcis in fundo: le elezioni amministrative in Italia.
Tant’è che entro l’8 maggio, comunque vada a finire, sappiamo come si stanno mettendo le cose in termini di reazione sia da parte del 99% che da parte dell’1%.
Dagli Usa arrivano due notizie importanti, la prima di sapore ultra-pragmatico, l’altra, invece, di carattere strategico-organizzativo.
Quella pragmatica ha a che vedere con le modalità di reazione della gente comune al nefasto strapotere delle banche, ed è la prova tangibile di quanto possano influire i movimenti se e quando sono impegnati in attività pratiche piuttosto che nella elaborazione di slogan o scontri ideologici inutili quanto ridicoli.
Al convegno di Rimini organizzato da Paolo Barnard sulla MMT era stato invitato un docente di economia, il prof. Blake, che aveva esordito così nel suo intervento: “Le banche hanno tanti amici: istituzioni, classe politica, finanza. Hanno soltanto un nemico: voi. Voi tutti siete il vero terrore delle banche”. Qualcuno aveva applaudito, e la stragrande maggioranza degli ascoltatori l’aveva considerato come uno slogan ad effetto per strappare un facile applauso di consenso dal loggione dell’antagonismo di massa.
Non era così.
Loro sono una cultura pragmatica.
Blake è noto in Usa per questa sua frase, che gli americani hanno applicato alla lettera considerandola una traccia da seguire.
Infatti, in data 28 aprile, il movimento “occupy wall street” ha comunicato ufficialmente l’esito dell’inizio della campagna d’inverno: 57 miliardi di dollari che un numero di correntisti statunitensi valutato intorno a diverse centinaia di migliaia di persone (alcuni sostengono diversi milioni) ha prelevato dalle principali banche dove avevano un conto corrente e l’hanno chiuso di punto in bianco. I soldi prelevati sono stati depositati in nuove banche nate come funghi, le cosiddette “Union Banks” (trad.: banche sindacali solidali) piccole, locali, legali. Tali banche, per statuto,  non possono investire in attività finanziarie, devono comunicare a ogni correntista per iscritto come investono i soldi, prestano il danaro alle imprese che assumono al tasso dello 0,75% (praticamente gratis) perché acquistano il danaro dalla Banca centrale allo 0,25% e si prendono soltanto lo 0,50% di guadagno; i massimi dirigenti non possono guadagnare come stipendio più di una certa cifra (credo si aggiri intorno ai 250.000 dollari all’anno) e la banca offre gratis servizio di consulenza per la gestione di business planning, creative innovation, costruzione di cooperative di lavoro finalizzata ad attività sociali. Nel novembre del 2011, “occupy wall street” aveva avvertito l’inizio di tale operazione. Le banche, attraverso la FDIC (l’organo che raduna tutte le banche americane) si erano subito mosse e avevano accantonato la cifra di 5 miliardi di dollari per far fronte a questi ragazzacci: questa era la massima cifra che pensavano sarebbe stata portata via. Hanno sbagliato il calcolo per un 1000%. Entro il 30 giugno si prevede che altri 60 miliardi di dollari verranno prelevati e spostati su micro-banche locali ad uso delle singole contee (sarebbe il corrispondente statunitense dei nostri comuni). E’ ancora poco, ma funziona. Crea mercato, crea lavoro, crea occupazione, lancia un segnale, ma soprattutto capovolge psicologicamente (lo considero importantissimo) il meccanismo per cui non ci si sente più vittime passive della tecno-finanza, bensì operatori attivi del proprio destino. E’ una scelta legata al libero arbitrio. Basta volerlo fare.
La seconda notizia dagli Usa ci comunica che per la prima volta nella Storia, il 1 maggio verrà celebrato con uno sciopero federale nazionale di tutte le categorie. E’ la prima volta dal 1932 che accade. Non si conosce l’esito, è una novità assoluta. Gli organizzatori pensano che porteranno a Chicago almeno 50.000 persone e altrettante a New York, Miami e San Francisco. L’FBI sostiene che non arriveranno a 1000. Lo sapremo il 2 maggio.
Un’altra notizia di oggi, invece, riguarda l’Italia. Ha a che vedere con Beppe Grillo.
Anzi.
Ha a che vedere con la reazione della sinistra democratica a Beppe Grillo.
Di una inaudita violenza di toni.
Beppe Grillo, ieri domenica 29 aprile, è andato a fare campagna elettorale a Palermo, la città italiana dove –è noto anche ai bambini- i partiti sono uffici di collocamento su base clientelare: tu voti il mio candidato io trovo lavoro a tuo figlio; tu non fai domande e non ti impicci e tua moglie ha i buoni pasto per l’asilo, ecc. Non mi sembra una informazione rivoluzionaria. E’ ciò che ha sostenuto nel suo comizio Beppe Grillo. Il PD e soprattutto Sel si sono indignati. E da entrambi i partiti è partita l’indicazione di passare da “demagogo” a “mafioso” che mi sembra davvero indicativo sull’attuale clima italiota.
Ecco, qui di seguito, che cosa ha detto Beppe Grillo.
Ed ecco che cosa ha detto Claudio Fava, responsabile della cultura di Sel, a nome di Nichi Vendola.
Beppe Grillo: “Qui, lo sappiamo tutti, ha sempre regnato la mafia. Ma la mafia non ha mai strangolato i suoi clienti, mica sono stupidi: si limita a prendere e pretendere il pizzo. Ma qua vediamo un’altra mafia che strangola la sua stessa vittima: sono i partiti che non offrono né futuro né sviluppo né garanzie di legalità per i cittadini. Vogliamo nomi e cognomi di chi sta portando al macello il paese”. In seguito, ha indetto una conferenza stampa commentando il comportamento dei partiti: “lasciateli pure sfogare, son ragazzi burocratizzati questi funzionari di partito: non appena rimarranno senza televisioni, senza giornali e senza i poliziotti che sono ormai stanchi di far da scorta a quelli che fanno il burlesque –e i iscrivono la notte di nascosto al movimento 5 stelle- allora saranno costretti a confrontarsi con i cittadini”.
Claudio Fava: “Beppe Grillo parla come un mafioso senza essere nemmeno originale. Gli stessi argomenti prima di lui sono già stati utilizzati da Vito Ciancimino e da Tano Badalamenti. Beppe Grillo è un mafioso. E come l’ultimo dei mafiosi non ha nemmeno il coraggio di confrontarsi pubblicamente sulle sue patetiche provocazioni”.
Più tardi è intervenuto ufficialmente anche il PD su una specifica frase di Grillo che è la seguente:  “È un sistema che sta collassando, la gente ha meno soldi, questo è un Paese finito. Riprendiamoci questo cazzo di Stato, perché l’alternativa c’è. O un salto nel buio con il Movimento 5 Stelle o un suicidio assistito con questi qua”.
La risposta è stata data da un certo Nico Stumpo. Costui è il responsabile dell’organizzazione dei DS dal 2003 e cura gli investimenti nel mezzogiorno dei soldi che i DS –partito com’è noto estinto- seguita ad avere da parte dello stato, cioè i soldi delle vostre tasse. Se andate in rete a vedere la sua biografia e soprattutto la sua faccia (la fisicità ha un suo Senso) si rimane sbigottiti: sembra il clone di Belsito, anzi, sembra Sabina Guzzanti che imita Belsito.
Nico Stumpo ha replicato ai suoi elettori: “Non è vero che i partiti sono corrotti e che usano i soldi dei cittadini. E’ falso. Beppe Grillo è un ciarlatano, non ha la minima idea di ciò che sta dicendo. E’ un volgare pifferaio. C’è in Grillo una povertà culturale che gli italiani non meritano, perché i veri democratici sanno che esiste il PD che garantisce la tenuta del sistema democratico: noi siamo la vera alternativa. Grillo fa ridere. Noi siamo l’alternativa”.
Questo è il clima che si respira in Italia, oggi.
Ecco perché (e qui rispondo al mio lettore) è necessario apprendere o riapprendere i meccanismi dell’argomentazione, l’elaborazione dei concetti, e usufruire della cultura e dei cosiddetti “massimi sistemi” per ritrovare il Senso e il Significato che in questo paese si è perso, altrimenti sarà impossibile costruire qualsivoglia forma di opposizione pragmatica ed efficace. Se Claudio Fava va in giro a sostenere per conto di Nichi Vendola che Beppe Grillo è un mafioso, vuol dire che chiunque è autorizzato a dire qualunque cosa su chicchessia. Significa che la sinistra italiana ha perso il Senso, oltre che della misura, anche della realtà. Che il rappresentante dei DS, Nico Stumpo (lo ripeto: sono sovvenzioni statali ad una formazione politica che non esiste più perché si è sciolta. E’ INSENSATO, lo capisce anche un bambino di 5 anni) un soggetto politico deputato alla gestione di soldi surreali, se ne vada in giro per la Sicilia sostenendo che non esiste la corruzione, vuol dire cercare di spingere gli italiani verso una deriva dove è stato abolito il Senso delle cose. Questo non è un paese normale, è un paese malato di idiozia collettiva masochista, con l’aggiunta negativa dell’esercizio costante di corruttela collusiva e consociativa. Non possiamo permetterci ancora né grandi manovre, né proposte intelligenti, né programmi alternativi, perché dobbiamo vedercela con la nostra piccola realtà surreale e paradossale, quotidiana e locale. Ecco perché insisto e seguiterò ad insistere sulla assoluta necessità di ritrovare prima la coniugazione del Senso. A questo serve la Cultura, i grandi classici, i pensatori che hanno contribuito a farci comprendere la realtà.
La vergognosa affermazione di Claudio Fava dimostra che la cosiddetta sinistra democratica ha completamente perso la testa.
Chi intende costruire un’autentica alternativa, deve invece ritrovarla, la testa.
Senza idee e senza Cultura, una qualunque azione rimarrà sempre priva di Senso.
Claudio Fava dovrebbe andare a rileggersi l’ultima intervista rilasciata dal compianto giudice Paolo Borsellino “chi sa, parli: questa è la discriminante oggi. Chi sa, deve parlare e deve dire come stanno le cose e deve fare i nomi, altrimenti la democrazia verrà definitivamente obnubilata dal controllo della criminalità organizzata”.
Dopo essersela riletta per bene potrebbe andare a farsi una passeggiata nelle Puglie e andare a chiedere ragguagli al suo leader politico sui rapporti economici tra la regione da lui amministrata e l’ospedale San Raffaele a Milano. Sì, quello di Don Verzè.
Di sicuro non era un amico di Beppe Grillo.

Come suggerisce il Senso, caro Claudio Fava: dimmi con chi vai e ti dirò chi sei.

domenica 29 aprile 2012

Il più grande imprenditore italiano attacca le banche e ne denuncia la speculazione.



di Sergio Di Cori Modigliani


E’ il nostro fiore all’occhiello.
E’ forse l’unica grande azienda italiana, leader planetario nel suo specifico settore merceologico, ad essere virtuosa, solida, in espansione. Presente in 132 nazioni, ha 75.560 dipendenti, di cui 62.000 addetti che producono nel territorio della repubblica italiana. Non ha neppure un cassintegrato e non ne prevede. Il suo titolo quotato in borsa, soltanto nel 2012, è schizzato in avanti del 32%: unico titolo in positivo. Il suo fatturato si aggira intorno ai 7 miliardi di euro, superiore di un +13,1% rispetto all’anno precedente.
L’azienda è nata nel 1961, ad Agordo, in provincia di Belluno, dentro un garage.
La storia di questa fabbrica e del suo ideatore e fondatore è studiata oggi nel corso di management industriale all’università di Harvard come esempio pratico e vincente “del miracolo economico italiano che coniuga impresa, creatività, rischio, con una ricerca accurata del design, del gusto e del dettaglio che nasce dall’applicazione della tradizione artigiana locale”. 
L’azienda non ha mai visto uno sciopero, né uno scorporo, né proteste.
Si chiama LUXOTTICA. Produce lenti per occhiali e li vende in tutto il mondo. Tra i suoi clienti più famosi la polizia stradale della California (i celeberrimi CHIPS) l’esercito cinese, tutta la linea occhiali di Christian Dior e Yves Saint Laurent. Produce in Italia e vende in Cina.
Il suo proprietario e fondatore, Leonardo Del Vecchio, nato nel 1935 a Milano, è poco noto alla massa degli italiani. Ma il suo nome è un mito in Usa, Germania, Gran Bretagna, Cina.
La sua frase più recente? “Non investiamo neppure un euro nella finanza, perché noi sappiamo come produrre, come inventare mercato, avendo come fine la ricchezza collettiva della comunità, altrimenti questo lavoro non avrebbe senso”.
Alieno da conventicole, complotti, schieramenti politici di parte, corteggiato da sempre sia dalla destra che dalla sinistra (“no grazie, non mi piacciono i balli a corte” ha risposto all’ultima preghiera-convocazione alle elezioni politiche del 2008 sia al PD che al PDL che alla Lega Nord) è uscito allo scoperto per la prima volta nella sua esistenza, violando il suo codice personale fatto di discrezione, poche chiacchiere e molto lavoro intinto di creatività.
“Basta con i manager mitomani finanzieri” ha detto al giornalista  Daniele Manca in una esplosiva intervista pubblicata sul corriere della sera qualche giorno fa, non a caso, in Italia, volutamente passata sotto silenzio e rimasta priva del dibattito che avrebbe meritato.
Ma non all’estero.
Soprattutto in Usa e in Gran Bretagna dove la situazione italiana è seguita con estrema attenzione, perché Del Vecchio sta spiegando come funziona l’Italia, anzi….come non funziona l’Italia e perché, allertando il business internazionale che conta sulla situazione nel nostro paese. Vox clamantis in deserto, la sua opinione è fondamentale, soprattutto in questo momento, e per una ragione ben specifica: perché Del Vecchio è sceso in campo (non ama e non ha bisogno di visibilità) andando all’attacco del cuore della finanza italiana.
Qualche notizia biografica su di lui tanto per capire che tipo sia.
All’età di sette anni rimane orfano, insieme a quattro fratelli. Provenendo da famiglia disagiata, i fratelli vengono dati in affidamento. Lui, invece, finisce nei Martinitt, l’orfanotrofio milanese per poveri. All’età di 15 anni, con il diploma di scuola media, esce e va a lavorare come garzone di bottega in una fabbrica che stampa marchi di metallo. I proprietari del negozio lo aiutano e lo spingono a iscriversi ai corsi serali all’Accademia di Brera per studiare design e soprattutto incisione. A ventidue anni si trasferisce nel trentino dove trova lavoro come operaio in una fabbrica di incisioni metalliche e impara il mestiere. Dopo sei anni, all’età di 27 anni, riesce a ottenere gratis un enorme garage e capannone abbandonato nel comune di Belluno, di proprietà della regione, con la consegna di avviare un’attività per assumere personale proveniente dalle comunità montane più disagiate. E inizia, insieme a due collaboratori, a tirar su l’impresa: fabbricare occhiali all’italiana, con montature originali artigianali d’eccellenza, incise a mano, e lenti molate da lui personalmente. Vent’anni dopo è una florida azienda e va all’attacco del mercato statunitense che gli mette potenti sbarramenti. Li supera tutti. Stende la concorrenza più competitiva che si arrende. Acquista i tre più importanti marchi Usa e diventa la più potente multinazionale al mondo nel settore della produzione di occhiali. Dal 2002 è leader incontrastato.
Oltre ad essere il maggior azionista di Luxottica è un importantissimo grande azionista di Unicredit e soprattutto le assicurazioni Generali. Data la sua posizione è sempre stato nel consiglio direttivo del colosso assicurativo. Tre giorni fa (ed ecco perché ne parliamo e lui ha deciso di parlarne al pubblico) si è dimesso, se n’è andato sbattendo via la porta, con un clamoroso atto d’accusa: “la mia è una protesta contro il management imprenditoriale di questo paese, composto da individui superficiali che non sanno nulla del loro lavoro, sono semplici contabili mitòmani. Mi sento davvero a disagio. Il vero problema è che quando da assicuratori si vuole diventare finanzieri comprando le più disparate partecipazioni senza comunicare nulla ai propri azionisti, non si fa un buon servizio né per l’azienda, né per gli azionisti, né per il paese. Mentre questo è un periodo in cui ciascuno dovrebbe fare il proprio dovere, ovverossia: fare ciò che sa fare. E chi crede che lo spread sia domato, si sbaglia di grosso. Basta un nulla per farlo schizzare a 600 e mandare la nazione a picco. E’ ciò che stanno facendo gli imprenditori italiani e le banche e i colossi assicurativi perché insistono nell’investire nella finanza: il rischio è alto ed estremo”.
La considero una voce fondamentale da ascoltare, quella di Leonardo Del Vecchio.
Sulla quale riflettere. Perché l’Italia ha bisogno di un incontro tra imprenditoria efficace, efficiente e virtuosa da una parte e mondo del lavoro dall’altro, uscendo fuori dalle consuete griglie di protesta che finiscono per coagulare dissenso e indignazione uscendo fuori dalla immediata necessità di emergenza di costruire alleanze solide tra le due parti sociali.
Del Vecchio è sceso in campo.
Nel modo giusto.
Non scende in campo appoggiando un certo partito, né movimento. Non ama Monti e non lo odia. Non vuole entrare in politica come soggetto. Vuole dare uno scossone al mondo dell’imprenditoria. La sua voce è da diffondere.
Perché il suo curriculum professionale ed esistenziale è il suo biglietto da visita.
“Il problema dell’Italia nasce quando si vuole fare finanza. Quando, le aziende, usando i soldi degli investitori e soprattutto dei risparmiatori, comprano un pezzettino di Telecom, e un pezzetto di una banca russa; si mettono a repentaglio –come nel caso delle assicurazioni Generali-  ben due miliardi di euro alleandosi con il finanziere ceko Kellner e ci si impegna con la Citylife in una percentuale che nessun immobiliarista al mondo avrebbe mai accettato, com’è avvenuto nel 2009 quando hanno investito 800 milioni in fondi di investimento greci. Miliardi di euro sono andati in fumo. Erano soldi di imprenditori italiani che avevano investito con l’idea di poter poi spostare i profitti nel mercato del lavoro per tirar su imprese e creare lavoro. I manager responsabili di questi atti perdenti sono stati tutti promossi e saldati con stipendi multi milionari. Non si va da nessuna parte, così”.
E’ impietoso, Del Vecchio. Picchia duro. E se lo può permettere. E parlando al canale televisivo di Bloomberg, quando un giornalista americano gli ha fatto la domanda da 1 milione di dollari “Lei come si pone rispetto all’articolo 18 che in Italia è il punto dolente nello scontro tra imprenditori e lavoratori?” ne è uscito in maniera impeccabile. Ha risposto: “Un dibattito inutile, fuorviante. Personalmente, ripeto “personalmente” non mi riguarda. Su 65.000 lavoratori italiani che pago ogni mese, non c’è nessuno, neppure uno che rischia il licenziamento. Che ci sia l’art.18 così com’è, che venga abolito, modificato, cambiato, per me è irrilevante. La mia azienda funziona e ogni imprenditore -parlo di quelli veri- ha come sogno autentico quello di assumere e non di licenziare. Il paese si rialza assumendo non licenziando. E la colpa è delle banche”.
E’ la prima volta che un grande imprenditore, un grande finanziere, un grande industriale, attacca frontalmente le banche italiane. E qui non si tratta dei bloggers che odiano Goldman Sachs o dei consueti slogan contro la finanza internazionale. Perché Del Vecchio attacca la gestione inconcludente delle banche, affidata a “personale e personalità poco affidabili”. Racconta la parabola di Alessandro Profumo che lui presenta come una favola con un brutto finale, senza fare pettegolezzi o scandali.
“Finchè Unicredit e le Generali facevano le banche andava bene. Poi si sono buttati nella finanza e hanno perso la testa. Ho visto sotto i miei occhi trasformarsi Profumo. Partecipazioni, fusioni, investimenti a pioggia inutili e perdenti, con l’unico fine di agguantare soldi veloci e facili invece che produrre impresa con l’unico risultato di ottenere perdite colossali e bonus di uscita per diverse decine di milioni di euro. Le banche italiane hanno perso la testa. Ricordo il 1981. La mia azienda, dopo 20 anni, era diventata forte e solida. Avevo capito che la globalizzazione era alle porte e bisognava andare all’attacco del mercato americano. Ma non si cerca di entrare in Usa se non si è solidi finanziariamente. Abbiamo fatto le nostre ricerche e analisi e alla fine abbiamo calcolato che avevamo bisogno di una certa cifra molto alta. Mi rivolsi al Credito Italiano. Andai a parlare con Rondelli che la dirigeva. Gli dissi che volevo iniziare acquistando Avantgarde, un marchio americano che sarebbe stato il cavallo di Troia, ma non avevo i soldi. Presentai il progetto, il business plan, il programma, i rischi. Dieci giorni dopo mi convocò alla banca. Accettò. Mi presentai in Usa che mi ridevano in faccia. Dissero la cifra. Tirai fuori il libretto di assegni e firmai senza neppure chiedere lo sconto di un dollaro. Due ore dopo, l’amministratore delegato di Avantgarde mi confessò al bar penso di aver commesso il più grande errore professionale della mia vita e si ritirò dagli affari. Un anno dopo avevo restituito alla banca tutto il capitale con gli interessi composti, avevo aperto quattro nuovi stabilimenti e assunto 4.500 persone. Questo deve fare una banca. O in Italia lo capiscono e si danno una smossa, oppure si rimane alle chiacchiere e si affonda”.
Del Vecchio spera e auspica che Monti intervenga molto presto nel settore che lui (e Corrado Passera) conoscono molto ma molto bene: banche e finanza italiane. E propone di far applicare un codice ferreo di regolamentazione comportamentale che imponga a tutti gli amministratori delegati di banche, fondazioni e aziende, di riferire come usano i soldi.
“Alle Generali l’amministratore delegato poteva disporre investimenti fino a 300 milioni di euro senza comunicare niente a nessuno. Lo stesso a Unicredit, Intesa SanPaolo, Mps. La verità è che nessuno sa dove vanno a finire quei soldi, dove siano andati a finire i soldi. La mia azienda alla fine dell’anno si ritrova circa 700 milioni di euro da investire. Andrea Guerra che è il mio amministratore ogni volta che deve spendere cifre superiori a 1 milione di euro, informa ogni singolo membro del consiglio e manda copia a ogni importante azionista. Pretende di avere delle risposte e pretende che si discuta del suo investimento perché vuole sapere l’opinione di tutti, compreso il collegio sindacale interno e il rappresentante sindacale dei lavoratori dipendenti. Perché l’azienda è anche loro. Il loro posto dipende dalle scelte di chi dirige. Ogni decisione presa viene valutata collettivamente. Se si rischia, lo sanno tutti, l’hanno accettato. Non esistono mai sorprese. Questa è la strada. Non ne esistono altre. O si fa così, o si chiude tutti quanti, baracca e burattini”.
Perché la classe politica italiana non si fa carico delle gravissime preoccupazioni di imprenditori come Del Vecchio e non interviene in proposito?
Non stanno lì in parlamento ad appoggiare un gruppo di professori nel nome delle imprese e della ripresa economica? Se non ascoltano i leader che producono, che senso ha? Dov'è il Senso?

Ho pensato che potesse essere interessante una voce insolita, diversa dai precari, dai disoccupati, dai licenziati, che vivono ogni giorno la propria tragedia esistenziale. Il nemico non sono le imprese. Il vero nemico è la sordità di governanti e politici che non ascoltano chi produce e conosce la verità del mercato.
Quello è il vero nemico.
Quella sordità è l’anti-politica. Che cosa c’entra Beppe Grillo?

venerdì 27 aprile 2012

E' il primo suicidio di un politico in carica. Tangentopoli nel 1992 cominciò così.


di Sergio Di Cori Modigliani


Mi dispiace davvero per lui, lo dico sinceramente. Quando una persona si uccide, perché, all’improvviso, viene còlta da un lampo, una intuizione, e si rende conto dove sta, con chi sta, a fare che, e non riesce a trovare la forza per rimboccarsi le maniche e denunciare il tutto, acquisisce il diritto di avere la compassione e il rispetto della comunità civile. Essere forti non è un obbligo. Non è neppure un dovere indignarsi e protestare.
C’è chi non ce la fa. E io lo capisco.
Ma c’è un distinguo. C’è chi non ce la fa e se ne frega e dice a se stesso e alla moglie “tiriamo a campà” e c’è chi, invece, non ce la fa e si uccide. In attesa della manifestazione dei forti, ovverossia di coloro che non ce la fanno, ma non ingoiano e non si uccidono.
Non abbiamo bisogno di suicidi, bensì Legalità.
La notizia secca è la seguente: “Un consigliere provinciale della Lega Nord, Pier Angelo Ablondi, 58 anni, si è suicidato gettandosi dalla finestra di casa, ieri al pomeriggio”.
Non era un disoccupato disperato. Non era neppure una persona che soffriva di depressioni endogene. Non era un imprenditore strozzato. Non aveva né debiti né crediti. Non era indagato e –quel che più conta- molto probabilmente non lo sarebbe stato mai.
Ha spiegato l’estremità del suo gesto suicida con una lettera autografa al magistrato.
Il procuratore della repubblica di Parma, dott. Gerardo Laguardia, infatti, così ha dichiarato: “Nella lettera da lui scritta, Ablondi spiega di aver autenticato le firme per la presentazione della lista de La Destra alle prossime elezioni comunali del 6 maggio per fare un favore personale ad una personalità politica che però non nomina, e quindi non abbiamo nessuna possibilità di appurarne l’identità”.
E’ un segno dei tempi. Lo trovo un sintomo. La punta dell’iceberg.
Non ho la minima idea chi fosse questa persona, ma dall’entità del suo gesto, non vi è dubbio che si sia trattato di una persona per bene. Tant’è vero che ignorava i fatti.
Eccoli: tutto si è verificato per un caso del destino. Quattro giorni fa, infatti, l’ex giocatore della Maxicono pallavolo di Parma, Claudio Galli, si era rivolto alla procura e aveva denunciato la falsità della propria firma, dato che –incidentalmente- si era trovato nella lista elettorale de La Destra senza averne conoscenza.
La Procura di Parma aveva aperto un’inchiesta per falso.
Da quanto il magistrato ha raccontato, Ablondi, a quel punto, avrebbe telefonato alla personalità politica che gli aveva consegnato le firme da autenticare e avrebbe chiesto ragguagli e spiegazioni in merito. Successivamente a questa telefonata, Ablondi ha scritto una lettera al magistrato e si è buttato dalla finestra.
La vicenda è sconcertante.
Perché non è dato sapere chi ha redatto le liste, chi le ha proposte al consigliere, e quale fosse la personalità alla quale lui si è dovuto piegare. Ciò che è ancora più agghiacciante è che la Legge non consente di annullare la lista che, regolarmente, andrà al voto.
Peccato che Ablondi fosse una personalità debole, e perciò merita tutta la nostra comprensione umana.
Se fosse stato forte, sarebbe stato ancora in vita per soddisfazione dei suoi cari, e forse la procura della repubblica sarebbe stata in grado di spiegarci l’entità dei rapporti tra La Destra e la Lega Nord e come sia possibile che una lista si presenti alle elezioni con dei nominativi falsi pensando di farla franca. Evidentemente è perché questo accade.
Da cui, la domanda che estendo a tutti voi: come è possibile?
Apprendiamo con questa notizia tragica l’esistenza di tale fenomeno.
In quante altre province e comuni si sta verificando analogo episodio?
Chissà se la Bindi e Bersani considerano quest’atto una modalità estrema di fare dell’anti-politica?
Consente e deve indurci a delle riflessioni.
Con l’augurio che altri suoi colleghi (qualunque sia il partito di appartenenza) siano più forti e altrettanto onesti. Che rimangano in vita.
Ma allo stesso tempo abbiano il pudore civico di rendere pubblica questa modalità di comportamento che il magistrato, nel commentare tra le righe l’episodio, ha fatto chiaramente intendere, è ormai diventata norma consolidata. Quantomeno nel parmense.
Che riposi in pace.

L'effetto Beppe Grillo. Perchè vince, oggi, in Italia.


di Sergio Di Cori Modigliani



Non vi è alcun dubbio che l’irruzione di Beppe Grillo nello scenario della competizione elettorale delle amministrative sia l’unica novità di rilievo di questo asfittico 2012.
Talmente pericoloso da aver perfino spinto il presidente della Repubblica ad attaccarlo. Se Giorgio Napolitano avesse usato lo stesso ardore nel salvaguardare l’attacco contro le istituzioni repubblicane portato nel cuore dello stato da Bossi/Maroni/Calderoli/Borghezio negli ultimi dieci anni, forse l’Italia si troverebbe oggi in una situazione decisamente migliore. Indimenticabile Calderoli che mostrava in diretta televisiva (il 28 luglio 2011), da Pontida, la placca in cui annunciava lo spostamento dei ministeri a Monza, senza che dal Quirinale arrivasse una immediata replica tinta di sdegno, autorevolezza e indignazione. Arrivò, sì, quattro giorni dopo essere stato sommerso da proteste feisbucchiane. Flebile, fredda, burocratica. Tant'è vero che i leghisti proseguirono ignorandone il contenuto. I cittadini repubblicani aspiravano ad un tono fermo, rigoroso, nel nome del decoro. Che senso ha celebrare il 25 aprile se poi non si combatte con le armi della Legge chi ne infanga la memoria?
Personalmente penso che Beppe Grillo, in questo specifico momento, sia vincente. E’ per questo che fa paura.
Aggiungo che non sono né un suo militante né un suo tifoso. Osservo ciò che fa, seguo la vicenda e cerco di comprendere e capire.
Il suo vantaggio consiste nel fatto che essendo un uomo di spettacolo conosce a menadito la grammatica della comunicazione inter-personale, è caratterialmente simpatico, ma ha tre giganteschi vantaggi dalla sua, anzi quattro. Davvero imbattibili.
1). E’ ricco di suo. Non è un piccolo-borghese che aspira a una carica pubblica per sistemare se stesso, la famiglia e gli amici. Il danaro posseduto non è frutto di investimenti speculativi, non ha aziende né società che necessitano di leggi e appoggi politici per poter rimanere a galla. Perchè i soldi che ha se li è guadagnati per competenza acquisita. Se li merita. E’ tra i pochi e rari soggetti italiani che può dire di essersi conquistato un posto sul palcoscenico perché è bravo, non perché è raccomandato. E’ il frutto del suo lavoro a teatro, con i suoi libri pieni di sberleffi, con i suoi shows, attraverso l’esercizio di una professionalità che pochi hanno. E questo, la gente lo sa, ed è una garanzia. I bravi, in Italia, mettono paura. PDL PD Udc sono pieni di somari incompetenti; per loro, i bravi sono nemici, loro vivono sulle raccomandazioni e appoggi.
2). E’ finito sulla lista nera durante la prima repubblica per aver “osato” denunciare la deriva di corruttela del modello sociale del craxismo quando la stragrande maggioranza di “firme” che oggi vivono di antagonismo, contestazione e opposizione, si guadagnavano un posto al sole genuflettendosi in maniera servile. Ricordo al pubblico dei più giovani, che allora non erano neppure nati, l’episodio che lo spinse fuori dal sistema, ai margini. Eravamo a metà degli anni’80 e Grillo lavorava come comico in Rai. Era il corrispondente, allora, di ciò che oggi è Maurizio Crozza. Faceva una copertina di satira in prima serata su rai1 che durava dieci minuti. Era lo stesso anno in cui (davvero indimenticabile) sulla televisione privata GBR, era andata in onda una intervista a Bettino Craxi condotta da un esordiente, Giuliano Ferrara, il quale, per l’occasione, si inginocchiò davanti all’allora premier comportandosi come un nord-coreano. Craxi era andato in missione ufficiale in Cina. Era partito con l’aereo di stato. La gente mormorava scandalizzata perché al seguito c’erano andate 84 persone, tra cui c’era perfino il massaggiatore personale di Sandra Milo, la sorella di Walter Ladolcevitola, e l’aereo pullulava di faccendieri, belle donne, gente inutile. Tutti i media italiani seguirono la vicenda con un’enfasi accanita. Tre giorni dopo andava in onda lo show, al sabato. E compare Beppe Grillo che conia il termine “nani e ballerine” (proprio così: quell’espressione è datata 26 anni fa). E conclude lo show con la seguente barzelletta: “Hai visto che bello i nostri in Cina? Martelli era entusiasta, addirittura commosso. Pensa che a un certo punto, Craxi e Martelli erano seduti al pranzo ufficiale, con le ballerine a fare il maquillage in un albergo a sei stelle, e Craxi commosso esclama: “Claudio! Non è bellissimo? Pensa dove siamo! Qui, sono tutti, ma proprio tutti socialisti, pensa te…più di un miliardo di socialisti”. Martelli ci pensa un po’ e dice: “Capo, ma se questi sono tutti socialisti, a chi rubano?”. Sei giorni dopo, Craxi ritorna a Roma. Grillo viene licenziato in tronco, il suo nome bandito dalla Rai. Finisce sulla lista nera anche in tutte le case editrici. Un suo libro che doveva uscire di lì a tre mesi viene protestato e il contratto annullato. Non gli pagano neppure la penale. Non gli saldano neppure la liquidazione, deve pagare la querela per diffamazione a capo di governo. Rimane disoccupato. Invece che prostrarsi, manda tutti a quel paese e diventa indipendente. Comincia a fare show in piccoli teatrini sconosciuti d’avanguardia tanto per guadagnarsi il pane e si conquista poco a poco una platea sulla base del passaparola. Dieci anni dopo riemerge per il grande successo dei suoi spettacoli, Berlusconi (tre anni prima che fondi Forza Italia) lo chiama e gli offre mari e monti per andare su canale 5 con contratti miliardari. Grillo risponde in pubblico “Di nani l’Italia ne ha avuti abbastanza, se è per questo anche di ballerine scollacciate. Ho voglia di cambiare tipo di ballo. Ne hanno voglia gli italiani. Certo che, io, non vado a ballare per uno come Silvio Berlusconi”. Finisce di nuovo sulla lista nera. Nessun media si occupa più di lui per almeno dieci anni e lui comincia a politicizzare i suoi show clandestini: si occupa di energie rinnovabili, di finanza globale, di ecologia. Beppe Grillo –che piaccia o non piaccia- è l’unica personalità pubblica italiana attiva in politica che non potrà mai essere accusato da chicchessia di aver praticato mai il trasformismo né tantomeno il servilismo. Parla, recita, comizia, si comporta e scrive, esattamente nello stesso identico modo in cui lo faceva nel 1992 e nel 1982. Questa esistenzialità è un capitale investito inattaccabile. La gente, questo, lo sa anche se non lo sa. Lo capisce da sola.
3). Invece di usare vecchie tecniche obsolete della comunicazione pubblicitaria, stantìe e ritrite, tanto care al PD e al PDL, in questo momento Beppe Grillo usa la “tecnica Mario Monti” ovverossia: parla di cifre, fornisce date e dati, mostra grafici, dà notizie. Usa i suoi stessi sistemi: gli fa da specchio. E’ una modalità nota nella comunicazione. La differenza consiste nel fatto che Mario Monti dice il falso e fornisce notizie e numeri falsi; la gente comincia a capirlo anche se non lo sa. Beppe Grillo spiega le cose come stanno, con linguaggio elementare. E la realtà è dalla sua parte. Basti pensare alle tre notizie della giornata di oggi 27 aprile 2012, non a caso tutte e tre divenute questa mattina materiale dei comizi dei militanti grillini. IL PD non può usare queste argomentazioni perché appoggia il governo: A). In Italia esistono 64.524 auto blu che costano al contribuente soltanto di assicurazione la cifra di 122 milioni di euro all’anno. Grillo ci spiega (e fornisce anche le prove) che grazie a una convenzione contrattata cinque anni fa a gestire e guadagnare su questa assicurazione sia stata la Allianz proprietaria della Generali Venezia e della Lloyd adriatico, attraverso Intesa San Paolo. L’ex direttore generale di Allianz è stato nominato presidente di Intesa da Corrado Passera quattro mesi fa. Il ragionier Monti ha comunicato questa mattina il bando per acquistare altre 4.350 auto blu per un valore di 84 milioni di euro. Aveva detto che le avrebbe decurtate, e invece le aumenta, nel momento più difficile della nazione. B). Alle 8 del mattino, il giornalista di Sole 24 ore, Sebastiano Barisoni, nella sua trasmissione Focus Economia sul canale radiofonico Radio24 (seguitissimo da tutti i pendolari automobilisti) ci ha raccontato che ieri in Parlamento i nostri "bravi" parlamentari (TUTTI QUANTI, maggioranza 100%) hanno approvato un emendamento, (TENUTO BEN NASCOSTO TRA ALTRE LEGGI IN APPROVAZIONE) sulla cosiddetta "Legge mancia", portando da € 50.000.000,00 a €180.000.000,00 ...il benefit relativo alla parte dell'indennità spettante ad ogni singolo parlamentare eletto nel proprio territorio di competenza. Monti, sostenuto da PDL PD e UDC avrebbe dovuto tagliare i costi della politica, invece li alza e allarga la spesa con l’appoggio dei partiti che se ne avvantaggiano pur di lucrare. Bersani annuncia la rivoluzionaria proposta di decurtare al 50% il rimborso elettorale e il giorno dopo vota un emendamento per riprendersi i soldi da un’altra parte. La gente queste cose le sa anche se non le sa. Grillo glie le racconta. C). Mario Monti ha dichiarato questa mattina che “l’Italia sta dimostrando una formidabile coesione e compattezza mentre i mercati stanno promovendo le nostre scelte e manovre in termini economici”. Questa argomentazione è smaccatamente falsa. I dati di oggi rivelano che (informazione ufficiale del Ministero del Tesoro) Il Tesoro ha collocato Btp a 5 e 10 anni per complessivi 4,9 miliardi, poco meno dell'importo massimo prefissato di 5 miliardi, ma ha dovuto offrire tassi piu' alti. Sulla scadenza settembre 2022, il rendimento medio e' salito al 5,84% dal 5,24% dell'asta di marzo e per il maggio 2017 il tasso e' cresciuto al 4,86% dal 4,18% precedente. Tradotto in cifre vuol dire che questo pomeriggio le casse dello stato si trovano 6 miliardi di euro di meno rispetto alle previsioni il che farà aumentare la spesa pubblica nel mese di aprile e l’Italia non potrà rientrare nei parametri del pareggio di bilancio: arriveranno nuove tasse.
4).  Questa è la più ignobile, ed è il motivo che mi ha indignato spingendomi a fare questo post. L’hanno rimesso sulla lista nera. Il salone del libro di Torino, la più importante kermesse marketing del libro italiano, ha deciso per bocca del suo organizzatore Ferrero di non presentare il nuovo libro di Grillo “Siamo in guerra” editore Chiarelettere per via del linguaggio usato da Grillo. La notizia non è stata data da nessun media italiano. L’ha data, per l’appunto, lo stesso Grillo con le seguenti parole ufficiali: “Il 13 maggio avrei dovuto presentare il mio libro "Siamo in guerra" al Salone del Libro di Torino a cui ero stato invitato. Il direttore artistico Ernesto Ferrero ha dichiarato ieri alla Stampa che l'invito non è "ufficiale" e ha puntualizzato che "Siamo per il confronto libero e rispettoso. Mi piacerebbe che Grillo parlasse di cose concrete, abbandonando l'insulto e l'invettiva, che non ci appartengono". Ne prendo atto e non andrò al Salone come ospite indesiderato.

Beppe Grillo è un classico tribuno del popolo. Ma non è un leader, nonostante le apparenze. E la gente, questo, lo sa anche se non lo sa. E’ un megafono, il che è diverso. Grillo è un outsider. Beppe Grillo è un lupo solitario, lo è sempre stato, è un animale fatto così. Quando i grillini avranno vinto le elezioni, allora inizierà il confronto politico, e capiremo, ma Beppe Grillo (lo vedrete) si defilerà. Lui non ama direzioni generali, assistenti, delegati, consiglieri, quadri di partito, mediazioni, compromessi, tutto ciò di cui è composta la grammatica della vita politica. A lui davvero piace starsene da solo dentro a un camper. Vince perché intorno a lui c’è il vuoto e lui va a occupare con enorme facilità l’insipienza e la corruttela consociativa nella quale è affondata la sinistra, sia quella democratica che quella cosiddetta d’opposizione sempre pronta ad abbassare testa e coda quando c’è da incassare dei soldi di rimborsi, sovvenzioni, assistenza, contributi.
E’ l’unica personalità politica pubblica italiana che ha il diritto –nel caso decidesse un  giorno di esordire come cantante- di poter usare il celeberrimo e inossidabile brano di Frank Sinatra “My way”.
Beppe Grillo è un italiano che ha voluto fare a modo suo.
Mentre tutti gli altri, insieme e appassionatamente, fanno nel modo consueto, in quel modo italiota, marcio e criminale che tanto ma proprio tanto piace a tutte le nostre mafie. Non a caso si chiama “cosa nostra”. Il messaggio che l’attuale classe politica sta offrendo al paese –attraverso le ignobili e squallide vicende dei tesorieri- è che i soldi delle nostre tasse sono “cosa loro”. Beppe Grillo li prende a pesci in faccia.
La gente, queste cose, le sa anche se non le sa.
E Beppe Grillo si diverte un mondo a spiegar loro come stanno le cose.
Per questo è pericoloso.

martedì 24 aprile 2012

Per una nuova Europa libera dal pensiero neo-liberista liberticida.



di Sergio Di Cori Modigliani




Nello stato di natura, la biologia ci qualifica come animali. E’ ciò che siamo.
Nello stato comunitario, l’animale Essere Umano si evolve e diventa Civile, perché lavora. Il lavoro può manifestarsi come schiavitù, e allora viene privilegiata la dittatura, oppure come necessaria e naturale espressione dell’animale nella sua funzione sociale, e allora nasce la Civiltà.
Per consentire alla Civiltà di affermarsi ed espandersi, l’animale umano deve necessariamente uscire fuori dallo stato naturale di solitudine, solipsismo e narcisismo infantile, porsi come membro adulto e responsabile di una collettività e fondare una modalità di vita comune, con regole, usi e consuetudini basate sull’identificazione di beni comuni. E’ ciò che Aristotele definiva “la nascita dello zoon politikòn”: l’Animale Politico.
Se il lavoro è legato soltanto ed esclusivamente allo stato di bisogno e necessità dipendente dal concetto di sopravvivenza, l’Essere Umano resta legato a una concezione animale del proprio sé interiore. Se invece il lavoro diventa espressione individuale della propria caratterialità e specifica competenza, coniugandosi alla partecipazione comunitaria nella propria quota parte, allora l’Essere Umano diventa Cives. 
Cioè libero cittadino.
Il lavoro non rende liberi. Il lavoro schiavizza l’Uomo e lo rende animale.
Ciò che rende liberi è la qualità del lavoro, la modalità della sua applicazione, la quota garantita di espressività individuale all’interno di una specifica mansione.
L’animale è costretto dallo stato di necessità a lavorare per vivere, altrimenti muore.
L’essere civile sceglie di lavorare, altrimenti muore come essere sociale e decade.
Il lavoro, pertanto, può e deve essere quantificato per poter essere qualificato.
Ma non può essere monetizzata la necessaria quota di espressività individuale.
Se il lavoro viene ridotto a mera monetizzazione, si qualifica come pura schiavitù.
Se una società monetizza se stessa e attribuisce al “denaro” un valore feticistico, attribuendogli una funzione di status che esula dal suo uso puramente strumentale, l’uomo si riduce in schiavitù senza accorgersene.
E’ la visione del mondo e della società che si trova alla base della concezione neo-liberista dell’esistenza, dove l’espressione lavorativa viene posta come dato aggregato statistico che finisce per inserirsi in una funzione, in un grafico, in un numero. Ma non nell'esistenza.
In tal modo l’Essere Umano Civile diventa “concetto d’uso” e non più “esistenza pulsante”. Per far modo di spingere l’Essere Umano a perdere la sua “essenza” è necessario sottrargli il Senso. Così facendo, il concetto stesso di Civiltà viene abbattuto perché l’Essere Umano si animalizza. 
E’ la differenza chiave tra l’Animale allo stato puro e l’Essere Umano allo stato puro. 
Il castoro, le api, le formiche (grandi lavoratori) non si interrogano sulla propria condizione, la loro attività è vissuta come geneticamente naturale. Per l’Essere Umano Civile, invece, il Lavoro è una conquista: la possibilità di esprimere la propria individualità all’interno di una collettività nel nome di un fine comune. Gli Esseri Umani devono interrogarsi.
Da questo punto di vista, l’invenzione del concetto di “macchina” va interpretata come un alto grado di liberazione dell’uomo, perché riesce a far svolgere lavori disumani a macchine inerti. 
Se il Senso dell’esistenza viene sostituito dal feticcio Moneta, l’umanità viene ridotta dallo Stato di Complessità alla Stato di Linearità. La Civiltà regredisce e ogni sottoclasse scompare vanificandosi. Lo zoòn politikòn di Aristotele si riduce a un mero scontro-incontro tra dittatori e schiavi inconsapevoli.

Sulla barriera d’ingresso del campo di concentramento tedesco di Auschwitz-Birkenau, in Polonia, c’era una grande scritta che accoglieva i deportati: “Il lavoro vi rende liberi”.
Questo concetto è un falso ideologico.
E’ la base strutturale del pensiero nazista.
La maggior parte degli europei, oggi (tanto più si perde la memoria individuale perché i sopravvissuti di quell’epoca scompaiono di morte naturale per limiti biologici) mantengono un ricordo iconografico del nazismo. Si pensa ai discorsi isterici di Hitler, agli ebrei con il pigiamone spinti dentro a un forno, agli ufficiali della Gestapo con la giacca di pelle nera e lo sguardo perfido, agli impietosi soldati della Wermacht con la mitragliatrice sempre pronta allo sterminio.
Ma il nazismo, essenzialmente, fondamentalmente, costitutivamente, è stato prima di ogni altra cosa “un movimento politico il cui fine consisteva nella schiavizzazione sistematica dell’Essere Umano, assoggettato a una ristretta elite di Esseri Superiori, il cui perno centrale consisteva nell’idea di lavoro come obbligo e non come espressione”.
Tutto qui.
Il resto era ciarpame pubblicitario e pubblicistico per ipnotizzare i gonzi.
Tant’è vero che, nel 1937, in Germania i lavoratori erano i soggetti peggio pagati nel mondo occidentale, senza nessuna garanzia né legale né sindacale, e i turni di lavoro erano stati maggiorati fino a 12 ore al giorno continuate, consentendo all’industria tedesca di esplodere in termini di produttività, profitto, espansione predominante nel mercato. Ancora oggi, raramente vengono mostrati documentari sulla “qualità” del lavoro in Germania. Si mostra soltanto l’immagine simbolica e iconica di riferimento.
I tedeschi, invece, ne sono ben consapevoli. Loro sanno che cosa hanno fatto e hanno costruito per sé un modello civile. Tant’è vero che, oggi, la Germania, mèmore del suo passato, ha il miglior stato welfare dell’occidente, e il rispetto per la qualità umana del lavoro è massimo in tutti i campi.
E’ una nazione altamente civile. Non vi è dubbio.
Schiavizza all’estero. Un’idea geniale. Diabolica, efficace, efficiente.
Noi siamo il loro estero.

Auschwitz (come simbolo) è stato un esperimento sociale. E’ costato all’Europa 100 milioni di morti in sette anni, il 21% della popolazione.

Domani è il 25 aprile e si celebra la liberazione. Non si tratta, in questo 2012, della consueta retorica e demagogia, purtroppo malamente strumentalizzata dall’ideologia banalmente resa superficiale da una sinistra amnesica, superficiale, e censoria,
Io la celebro, nel mio cuore.
Perché il 25 aprile si celebra la “liberazione dal nazismo come idea pensante dell’Europa”.
E perché, oggi più che mai, quella specifica idea ritorna. Senza ebrei con il pigiamone, senza giacche lunghe di pelle nera, senza mitragliatrici, senza carri armati, senza campi di concentramento, senza sterminii di massa. Ritorna secondi i canoni del mondo post-moderno globalizzato e mediatico.
Ma non per questo meno contundente ed efficace. Anzi.
Ben peggiore.
Perché è clandestino e poco esposto.
Perché non è dichiarato ma è mascherato.
Perché non è ideologizzato ma è pragmatizzato.
Perché non rappresenta le idee dei popoli, ma l’idea di una oligarchia.
Perché è gestita da anonimi contabili mascherati da autorevoli badanti sociali.
Ma il fine è lo stesso di allora: la soluzione finale.
Mettere definitivamente la parola fine a quel percorso di fondamento della civiltà comune europea che ha reso immenso e insostituibile il nostro continente; un percorso durato 300 anni, che viene da John Locke, da Voltaire, da Rousseau, da Kant e che ha consentito in questi tre secoli la liberazione di centinaia di milioni di individui, da Lisbona a Mosca, da Stoccolma a Palermo. Persone che da Animali (grazie al contributo generoso di chi, nei secoli, ha pensato lavorato e prodotto per le future generazioni) sono diventate Esseri Umani Civili.
L’unica alternativa alla soluzione finale è la soluzione iniziale.
Cambiare i paradigmi. Cambiare i presupposti. Cambiare l’esistenza.
Questa è l’unica alternativa: iniziare un’altra Storia d’Europa.
A conclusione vi racconto una storia emblematica, che è nata nell’aprile del 1938 nello studio ovale della Casa Bianca a Washington e che mi è stata raccontata dal suo protagonista.

In una fredda mattina di primavera, Eleanor Roosevelt, consorte del presidente americano, dopo aver trascorso una notte insonne, compì un atto piuttosto strano, oltre che illegale. Donna molto intelligente, di grande temperamento, innamorata del suo lavoro che consisteva nello studio della pedagogia infantile, aveva premuto con tutta se stessa con il marito per spingerlo a lanciare un gigantesco piano di investimento nel campo dell’istruzione pubblica, applicando le teorie della rivoluzionaria italiana Maria Montessori. E c’era riuscita. Qualche sera prima era venuta a visitarla un suo vecchio amico, compagno di studi all’università per quattro anni. Invece che dedicarsi all’attività accademica, si era specializzato in analisi comportamentali caratteriologiche ed era finito a lavorare per i servizi segreti (allora la Cia non esisteva, si chiamava OSS, Organized Secret Service). Era un funzionario di alto livello. Comunicò a Eleanor che i nazisti avevano iniziato a eliminare fisicamente le persone nei campi di concentramento, e che sulla base delle sue attendibili informazioni, un loro professore che loro avevano tanto amato e stimato, psichiatra esperto in problemi infantili, era stato deportato e sarebbe stato ucciso, insieme ai suoi assistenti. Eleanor rimase sconvolta da quella confessione. Ci pensò tre giorni, dopodiché prese una decisione estrema e avventata, com’era nella sua natura.
Violando la Legge, si presentò nell’ufficio del marito quando lui non c’era e fece convocare dalla segretaria (che era una sua amica d’infanzia) l’ambasciatore tedesco, il quale si precipitò pensando di essere stato chiamato dal presidente. Lo ricevette in una sala attigua chiedendo ragguagli in merito, mettendo l’ambasciatore in una situazione di insostenibile imbarazzo. Dopo un po’ si aprì la porta ed entrò Roosevelt sulla sua sedia a rotelle. Non conoscendo di persona l’uomo, pensò si trattasse di un amico personale della moglie. Ma presentandosi, lo sconosciuto si qualificò come ambasciatore del Terzo Reich. Il presidente (che conosceva sua moglie) tremò capendo subito che stava per esplodere una bomba che avrebbe anche potuto mettere a repentaglio la sicurezza degli Usa. In qualche modo riuscì a calmare la moglie e alla fine chiuse con lei un compromesso. Si rese conto che un giorno, tutto ciò, avrebbe avuto un costo molto alto. Ma la moglie non gli concesse scampo. Franklin Delano accettò la condizione imposta dalla moglie Eleanor: l’immediato rilascio del professore e dei suoi due assistenti. L’ambasciatore chiese un giorno di tempo per comunicare con Berlino e dopo due giorni si accordarono. Gli Usa consegnavano quattro agenti segreti nazisti arrestati a Chicago e in cambio consegnavano questi tre studiosi. Eleanor non si fidò e pose la sua condizione “Me li vado a prendere di persona”. Il presidente le spiegò che era un fatto inaudito ma non ci fu nessuna possibilità di calmarla. “Se non mi dai copertura ufficiale io ci vado da sola con un aereo civile, parto questa notte”. Roosevelt si arrese. E così, Eleanor si presentò di persona, accompagnata dall’ambasciatore americano a Berlino, direttamente nel campo di concentramento di Buchenwald. Firmò una dichiarazione nella quale dimostrò che i tre erano cittadini americani mostrando i loro passaporti. Li prese e se li portò in America, dove il prof. Bruno Bettelheim fondò la più importante scuola di pediatria e psicologia infantile americana a New York. Fine della prima parte.
Passano 50 anni.
E arriviamo all’autunno del 1988.
Mi trovavo negli Usa dove lavoravo come corrispondente del quotidiano l’Unità.
Il Washington Post pubblica alcuni documenti provenienti dall’archivio dei servizi segreti americani che erano stati consegnati a venti istituti di studi storici eccellenti, perché erano trascorsi 50 anni e applicando la Legge erano stati aperti non considerandoli più pericolosi per la sicurezza nazionale.
Apriti cielo.
Esplose una gigantesca polemica che paralizzò l’attenzione del pubblico americano per mesi e mesi. Non si parlava d’altro. Fu la prima gatta da pelare che il neo-presidente George Bush, appena eletto, si trovò sul suo tavolo.
Perché, al di là dell’aneddoto relativo a Eleanor (che la rese immediatamente una icona del movimento femminista e di tutte le organizzazioni per i diritti civili) vennero fuori due aspetti ignorati dalla massa del pubblico che sconvolse la nazione: 1). Nel 1938 gli Usa erano il più importante partner commerciale del Terzo Reich e facevano affari insieme in funzione anti-sovietica. Da questo punto ne discendeva il 2). Gli Usa erano perfettamente informati dell’esistenza dei campi di sterminio ma in virtù di superiori interessi economici globali avevano scelto di non agire e non dire nulla, il che vanificava il processo di Norimberga.
Il World Jewish Congress (Congresso ebraico Mondiale) andò su tutte le furie pretendendo che tutta la documentazione venisse resa pubblica. Nacque una tortuosa e complicata, nonché complessa, trattativa con il governo. Durò sei mesi. Tra le tante persone che partecipavano alla trattativa c’era Steven Spielberg che, grazie a quell’occasione, venne a conoscenza dell’eroica storia dell’ariano Schindler (tre anni dopo divenuto film). Chiusero un compromesso, salomonico quanto ipocrita, dagli storici considerato un capolavoro diplomatico di Bush. Poiché c’era una forte insorgenza e recrudescenza di pensiero nazista e cominciavano a diffondersi tesi negazioniste, considerando però il fatto che, pur nella sua parte finale, si stava ancora dentro la guerra fredda, le parti si accordarono nel seguente modo: gli istituti storici accettavano l’idea di prendere visione del materiale soltanto in forma consultiva con il divieto fino al 2028 di poter diffondere le notizie facendo riferimento a specifiche “fonti ufficiali accreditate”; nessuno avrebbe potuto rendere pubbliche le notizie se non sotto forma di fantasia romanzata oppure presentate come opinione personale, correndo il rischio di colossali denunce multimiliardarie di querela sanguinosa; le organizzazioni ebraiche garantivano che non avrebbero reso pubblico il materiale aspettando altri 40 anni; in cambio si autorizzava la nascita di un archivio privato che avrebbe potuto avvalersi –come garanzia storica- del materiale governativo, il quale non sarebbe stato né diffuso né messo a disposizione, ma si sarebbe detto che “esiste ed è presente pur nella sua impossibilità di diventare materiale pubblico”. Erano coinvolti, infatti, molti personaggi, persone, aziende che nel 1988 si trovavano ai posti di comando nel mondo. E così, Spielberg tirò su la Shoah foundation. Poiché l’accordo venne siglato alla Casa Bianca, è garantito diplomaticamente nel caso qualche nazione europea dovesse in un domani “ufficialmente” sostenere che i campi di sterminio non sono mai esistiti. A quel punto, verrebbe tirato fuori il materiale. 
Che, ancora oggi, è sconvolgente e non se ne può parlare.
Il mondo non è ancora in grado di sapere con esattezza provata ciò che è accaduto in Europa tra il 1935 e il 1945. Così come, nel caso la specie umana sia ancora viva, passeranno molti ma molti decenni prima che si possa sapere (e accettare) ciò che è accaduto in Europa tra il 1982 e il 2012.
Poiché mi trovavo in Usa  e facevo il giornalista, approfittai e andai a intervistare il prof. Bruno Bettelheim, 85enne, in seguito alla pubblicazione dell’aneddoto relativo ai suoi rapporti con Eleanor Roosevelt. Venne pubblicata sul mio quotidiano nell’estate del 1989.
C’è un aspetto tra i tanti che Bettelheim mi ha raccontato allora che oggi trasferisco alla vostra attenzione. Per meditarci sopra.
Perché ha a che vedere con il Lavoro.
Con la dignità del lavoro.
Con la dignità dell’Essere Umano.
Ed è a questo che dobbiamo cominciare a dedicare dei pensieri in un’Europa dove il pensiero nazista post-moderno, mascherato di neo-liberismo mercatista, comincia a manifestare la sua truce recrudescenza. Ecco il racconto del prof. Bruno Bettelheim:

·         “Era una giornata di fresca primavera. Ci avevano fatto mettere in fila, di ritorno dal lavoro alla miniera di carbone, in attesa del rancio, nel grande spiazzo antistante le docce. C’era un gruppo di donne, circa una cinquantina, che stava già lì ad aspettare. Le avrebbero fatte spogliare e poi spinte dentro per la doccia collettiva disinfettante. Le stesse docce dai cui bocchettoni, tre anni più tardi, avrebbero cominciato a spruzzare il gas zyklon B. C’erano circa venti soldati armati di mitragliatrice disseminati lungo la fila. Di lato, seduto su una poltroncina, c’era un alto ufficiale della Gestapo con dei fogli in mano. Accanto a lui, un ufficiale di rango minore, in piedi, aveva dei fogli che poi passava a un altro soldato. Diede un ordine e un soldato andò a prendere le donne e le spinse davanti a noi, pronte per la doccia. Le fecero spogliare e accatastarono i pigiami sopra una specie di barilotto. Le donne rimasero completamente nude. Un soldato si avvicinò per controllare le braccia, spostandole e mettendole in fila, in modo tale che il numero che avevano scritto sul braccio risultasse in maniera progressiva. Noi tedeschi siamo sempre stati molto meticolosi, tutto deve essere sempre fatto in modo giusto. A un certo punto l’ufficiale chiama due soldati e dà loro un ordine. I due corrono via e tornano dopo pochi minuti. Uno portava un grosso scatolone e l’altro un grammofono con l’altoparlante incorporato, che sistemò  sopra una cassa di legno. L’ufficiale si alza in piedi e chiede: “Chi è Helga Fishmann?”. Nessuno risponde. Lo chiede ancora, ma non ottiene risposta. Indispettito, chiama un soldato e gli dà un foglio indicando con il dito qualcosa. Il soldato si avvicina alla fila e con il foglio in mano controlla il numero sul braccio. Infine, prende una giovane donna dalla fila e la sposta di lato. Si avvicina l’ufficiale. “Tu sei Helga Fishmann?”. La donna, aveva lo sguardo inebetito. Non era più un essere umano. Era una vacca. Un animale. Anche io lo ero, come tutti gli altri, ma penso che per le donne sia stato peggio che per i maschi. Ripetè la domanda ancora una volta e lei assentì con la testa. L’ufficiale chiese ancora “Qui risulta che sei la prima ballerina classica dell’Opera di Vienna? E’ vero?”. Lei assentì. L’ufficiale fece un cenno al soldato che si avvicinò con lo scatolone e lo scoperchiò. L’ufficiale tirò fuori un disco e lo consegnò al soldato dicendogli qualcosa. Il soldato andò di corsa a mettere il disco, avviò la manovella e lo fece suonare.  L’ufficiale guardò la donna e le disse: “Adesso balla. Fammi vedere che cosa sai fare. Balla”. La donna rimase immobile. Io ero a pochi passi, ricordo ancora il suo sguardo perso, una persona incapace di manifestare più reazioni emotive. L’ufficiale insistè. Lei non reagì. A un certo punto notò che la donna aveva spinto la mano destra dietro e stringeva la mano di un'altra donna nella fila. Sfilò la rivoltella dalla fondina, la puntò sulla tempia dell’altra donna e le disse: “Balla. Se non ti metti a ballare, uccido subito la tua amica davanti a te, per colpa tua”. L’altra donna cominciò a guaire, a piagnucolare. E la ragazza rispose: “Va bene, ballo”. L’ufficiale fece ricominciare la musica. Era Johann Strauss. La donna uscì dalla fila e cominciò a muoversi. All’inizio in maniera ridicola, patetica, sembrava un pupazzo, un essere inerte. L’ufficiale stava davanti a lei osservandola. Poi, poco a poco, poco a poco, la donna cominciò a trasformarsi. Si dimenticò di essere un animale. Si ricordò che era Helga e che la sua professione era la ballerina. Le guance le si arrossarono, e i passetti flosci cominciarono a recuperare gli automatismi e il suo corpo emaciato e privo di sostanza acquistò vigore, i glutei si contrassero e lei cominciò a volteggiare. Helga si mise a ballare perché si ricordò chi era. Ruotava, ruotava, e sorrideva. A un certo punto vidi che i suoi occhi era come se si accendessero. Ballava e ballava e recuperava psicologicamente l’idea di sé. La musica finì. Helga con un guizzo da pantera si avventò su un soldato, gli diede un calcio, gli strappò il mitra e uccise subito l’ufficiale. Poi sventagliando il mitra uccise altri tre soldati. Infine, un soldato le sparò addosso tutto il caricatore. Si afflosciò a pochi passi da dove stavo io. Non dimenticherò mai il suo volto. Sorrideva. Perché era morta da persona libera. Non era più un animale. Era di nuovo un essere umano civile. Non era morta come numero. Era morta come Helga che aveva una specifica professione. Perché la civiltà nasce dove esiste l’espressione del proprio sé nel lavoro che fai, qualunque esso sia. Il nazismo era questo: la sottrazione della dignità del lavoro alle persone. Gli ebrei erano stati soltanto i primi della lista. Poi, in breve tempo, sarebbe toccato agli architetti, agli ingegneri, agli osteopati, ai notai, ecc. Come diceva Dostoevskij: togli a un essere umano la dignità del suo lavoro, e lo avrai in pugno per tutta la vita”.

Fine del racconto.

W il 25 aprile.