giovedì 31 maggio 2012

La mafia e la classe politica impongono al governo di far dimettere il Nemico n.1 dei criminali finanziari in Italia: il colonnello Rapetto.



di Sergio Di Cori Modigliani



Ce lo invidia tutta l’Europa. Anzi, ce lo invidiavano. E non solo in Europa.
E su questo, bisogna davvero dar battaglia.
Il nome è sconosciuto ai più. E qui ve lo presento.

Si chiama Umberto Rapetto, è un colonnello della Guardia di Finanza nato nel 1959. Attualmente insegna “Tecniche di investigazioni digitali” agli allievi del Master in “Criminologia Forense” presso l’Università di Castellanza. E’ l’unico italiano docente della Nato. Insegna “Open Source Intelligence” alla Scuola Nato di Oberammergau in Germania ed è responsabile della formazione intelligence per agenti della Cia che per conto della Nato cercano di rintracciare la filiera del riciclaggio dei soldi dei terroristi nelle banche della zona euro. Inoltre insegna “Sicurezza telematica nelle reti di telecomunicazioni” presso la facoltà di Ingegneria dell’Università di Genova, in un corso specialistico per ingegneri informatici. Ha pubblicato, inoltre, una ventina di libri specialistici, di cui i più importanti sono:
Umberto Rapetto, IL TUO COMPUTER È NEL MIRINO, Milano, Editrice Il Crogiolo, 1990.
Umberto Rapetto, I SISTEMI OPERATIVI DEL PERSONAL COMPUTER, Milano, Pirola Editore (Gruppo Editoriale Il Sole 24 ORE), 1991.
Umberto Rapetto; Salvatore Di Gioia, COME ORGANIZZARE UN ARCHIVIO ELETTRONICO, Milano, Pirola Editore (Gruppo Editoriale Il Sole 24 ORE), 

A detta di tutti (nel senso di esperti) è considerato il numero uno nel suo campo in Europa e tra i primi al mondo. Da anni l’FBI gli promette ponti d’oro per andare a lavorare lì da loro, ma lui risponde sempre “no grazie, la mia vita sono le fiamme gialle”.
Lo era.
Trent’anni di fedele servizio nell’arma della guardia di finanza, ha raggiunto qualche anno fa il grado di colonnello e, considerati i suoi titoli, successi e merito, nonché i dovuti scatti di anzianità raggiunti, si attendeva da un momento all’altro la sua promozione a generale.
E da lì, da quella postazione di comando, per evasori, mafiosi e criminali, avendo “il Grande Mastino” (così è soprannominato nell’ambiente di lavoro) la possibilità di esercitare il comando operativo, sarebbero stati davvero dolori per i furbi, per i collusi, provvedendo a fare ciò di cui l’Italia ha bisogno oggi più di ogni altra cosa in assoluto: rimpinguare le casse dello Stato. E’ ciò che lui predilige. Ed è ciò che sa fare. E lo fa in maniera eccellente.

Da ieri, Umberto Rapetto non fa più parte della Guardia di Finanza. Altro che generale!
L’hanno sbattuto fuori. O meglio, non potendolo fare l’hanno messo nelle condizioni di dimettersi. Come faccio a saperlo? Ce lo ha detto lui stesso con un commovente messaggio su twitter “con il cuore affranto, con dolore civile, e con non pochi rimpianti, ho rassegnato oggi le dimissioni dall’arma”. Sgomento e raccapriccio. E di lì a quaranta minuti, un successivo messaggio su twitter “credetemi, se l’ho fatto è perché sono stato costretto a farlo, mi hanno costretto”.

Champagne a go go tra i mafiosi, tra i politici, tra i criminali che questa sera festeggiano l’abbattimento del più solido e agguerrito combattente contro l’evasione fiscale e i delitti finanziari della mafia operativa all’interno del sistema bancario nazionale.

Adesso che avete capito il tipo e sapete la notizia, vi racconto la sua recente storia.

Ha lavorato con la sua squadra operativa che ha salvaguardato garantendo di persona. Per impedire fughe di notizie, spiate, e perversioni varie, infatti, non ha mai rivelato a nessuno il nome dei suoi quattro collaboratori, noti soltanto al suo superiore in comando. Per cinque anni ha seguito, come un bracco a caccia di tartufi, tutti i componenti delle organizzazioni che gestivano il gioco d’azzardo in Italia senza pagare le tasse. Finchè un giorno, dopo 158 giornate di lavoro, ha chiuso il dossier, lo ha consegnato ai suoi superiori e in copia conforme lo ha consegnato ai carabinieri. Ha fatto arrestare quindici persone e un generale dei carabinieri ha voluto che fosse lui a presentare il caso ai pm. E così, Umberto Rapetto, si è presentato in giudizio con migliaia e migliaia di pagine di prove e con i conti fatti con il pallottoliere: “questi individui sono debitori allo Stato di 98 miliardi, 456 milioni, 756 mila euro: questa è la cifra”.  L’equivalente di cinque grandi manovre finanziarie. Si evitava il taglio sulle pensioni, l’aumento delle tasse. Gli imputati (tutti condannati penalmente) hanno fatto ricorso “patteggiando” in relazione alla cifra da pagare. Rapetto spiegò alla corte che il “solo fatto di accettare l’idea del patteggiamento implica una surrettizia irresponsabilità, non vi è nulla da patteggiare:  quella è la cifra sottratta all’erario, quella è la cifra calcolata al millesimo che deve essere saldata al Ministero del Tesoro”.  (va da sé che nel  frattempo, mentre tutto ciò si svolgeva, a noi nessuno ci diceva nulla perché la nazione era presa dalle ultime notizie sui festini ad Arcore). Alla fine i giudici si sono rivolti alla Corte dei Conti che ha preso atto della condanna penale della Cassazione e ha deliberato imponendo agli imputati il pagamento di 2,5 miliardi di euro. Se non altro qualcosa hanno pagato; sconto effettuato:  96,5%.

Rapetto si è rimesso al lavoro e ha cominciato ad andare dietro alle famiglie mafiose del clan di Santapaola e alla famiglia Corallo di Messina. Anche lì, naturalmente, ha fatto centro. Finchè, dinanzi a inoppugnabili prove, i suoi superiori non hanno potuto far altro che consegnare tutto il materiale alla procura generale di Milano che quattro giorni fa ha emesso l’ordine d’arresto per Massimo Ponzellini, presidente del Banco Popolare di Milano e la richiesta di incarcerazione per Francesco Corallo, nonché la comunicazione di apertura d’indagine penale per “truffa aggravata ai danni dello Stato” nei confronti dell’intero management della banca, che coinvolge politici della stazza di Marco Milanese, Ignazio La Russa, Francesco Fini, Labboccetta, l’imprenditore Paolo Berlusconi e “altri” di cui per il momento non è possibile dar menzione pubblica. Perché il Ponzellini arrestato è vero che era del PDL, ma fino a due anni fa era della Lega Nord quando al Ministero degli Interni c’era Roberto Maroni e fino a quattro anni fa era del PD: era l’uomo che Romano Prodi e Massimo D’Alema avevano imposto alla presidenza della banca, garantendosi l’affidamento delle concessioni per l’apertura delle sale bingo. Fu il grande accordo chiuso nell’ottobre del 2007: la sinistra  gestiva il bingo, la destra le slot machines.
Quindi, Ponzellini è meglio che non parli (meglio per i politici che lo hanno sorretto, si intende).
Quindi, bisogna chiudere questa partita nella maniera più veloce e silenziosa.
Quindi, bisogna eliminare Rapetto, che è davvero un cane rognoso.

E così, hanno iniziato subito a operare come fa sempre la mafia.
Come aveva fatto con Giovanni Falcone: prima la delegittimazione, poi l’isolamento, con annesse calunnie e diffamazioni, poi, quando l’individuo è socialmente isolato o scompare nel nulla perché si ritira a vita privata e viene privato degli strumenti operativi necessari per combattere allora il caso è risolto oppure se continua a dar fastidio allora giù con il tritolo. L’Italia funziona così.

La sintesi è questa: arrestato Ponzellini, Rapetti è costretto alle dimissioni.
Fine del primo tempo: Mafia-Stato: 2-0.

Erano tutti contenti a palazzo.  La Russa, Penati, Tedesco, Cicchitto, Prodi, Fini, D’Alema, Berlusconi. Tutti.
Pensavano che fosse finita la partita.
E invece era finito soltanto il primo tempo.
Perché un curioso personaggio all’interno del PDL (zona AN) ha detto “no, questa volta non ci sto”.  Gli hanno detto ”stai calmo e non fare idiozie”. Lui ha litigato con tutti e avvalendosi della sua funzione, in data 28 maggio 2012 si è presentato  in aula e ha fatto una interrogazione parlamentare ad personam: cioè –considerato lo stato attuale d’emergenza nazionale- direttamente a Mario Monti, pretendendo che il governo desse una risposta per iscritto.
E il governo ha risposto.

Sono riuscito a procurarmi la documentazione parlamentare ufficiale, che sono atti pubblici.
Qui di seguito, per intero, accludo l’interrogazione parlamentare dell’on. Domenico Gramazio e la risposta del sottosegretario alla presidenza del consiglio e al Tesoro Vincenzo Grilli.

Prima dei due documenti, in copia e incolla, vi presento la comunicazione ufficiale dell’evento così come è stata presentata anche dal sito Romacapitale.net , che rappresenta la voce “ufficiale e istituzionale” della capitale di questa Repubblica a nome del Quirinale.

Ecco il testo sintetizzato:

ROMA 31 maggio 2012 - Umberto Rapetto, colonnello comandante del Gat Nucleo Speciale Frodi Telematiche, il più affermato investigatore informatico a livello europeo noto anche come "lo sceriffo del Web", lascia la Guardia di Finanza. Le dimissioni, appena firmate, sono arrivate dopo la sua rimozione dall'incarico finora rivestito. L'ufficiale sarebbe stato destinato a frequentare un corso al Centro Alti Studi Difesa, dove peraltro lo stesso tiene lezioni e conferenze da oltre dieci anni.

La rimozione giunge a ridosso della condanna dei Monopoli di Stato e delle società concessionarie delle slot machine al pagamento di oltre 2 miliardi e mezzo di euro, sanzione derivata dall'indagine svolta proprio da Rapetto su delega della Corte dei Conti.

Sulla vicenda ha risposto oggi il viceministro per l'Economia Vittorio Grilli.

Sulla vicenda ci sono già state diverse interrogazioni parlamentari da parte di Idv, Pd, Udc e Pdl. Come quella di aprile scorso, dove il senatore Elio Lannutti (Idv) elencava i risultati ottenuti dal Nucleo Speciale, diretto appunto dal colonnello Rapetto.

Nel corso degli anni tra i più importanti traguardi raggiunti venivano ricordate: l'Operazione "Macchianera", su delega della Procura della Repubblica di Castrovillari, che ha portato già nel 2005 alla scoperta di centinaia di false posizioni previdenziali create attraverso l'uso fraudolento del sistema informatico dell'Inps; l'Operazione "Stamina RX", che ha coinvolto 10 Procure della Repubblica sull'intero territorio e ha sgominato un'organizzazione che commercializzava via Internet farmaci pericolosi per la salute; l'Operazione "Pentathlon", su delega della Procura di Napoli, che ha portato all'arresto del primo "ladro seriale" di identità, reo di aver rubato ed utilizzato illegalmente i dati di migliaia di avvocati; l'Operazione "Carta da pacchi", su delega della Procura di Roma, che ha smascherato una banda che offriva l'opportunità di pagare bollette e cartelle esattoriali con sconti
significativi; l'Operazione "SIM è Napule", su delega della Procura partenopea, che ha consentito di individuare le dinamiche di attivazione di decine di migliaia di Sim telefoniche a nome di soggetti inesistenti o inconsapevoli.

E ancora, l'indagine (tutt'ora in corso per conto della Procura della Repubblica di Roma) sulle procedure informatiche utilizzate dal Comune di Roma per il trattamento delle pratiche di condono edilizio, accertando gravissime irregolarità da parte dell'Ente pubblico e delle società incaricate in outsourcing con enorme pregiudizio erariale. Fino all’ultima indagine svolta su delega della Procura della Corte dei conti del Lazio e durata circa 3 anni, che ha portato all'individuazione di incredibili irregolarità nel contesto del cosiddetto "gioco legale" delle slot-machine installate negli esercizi pubblici di tutta Italia, dall'originario addebito di diverse decine di miliardi di euro di penali contrattuali non applicate dai Monopoli di Stato; alla revisione normativa e ad altri interventi irrituali per la riduzione dell'importo dovuto dai responsabili (Monopoli e società concessionarie); alla condanna al pagamento di 2 miliardi e 500 milioni di euro, somma immediatamente messa a bilancio dello Stato.

A seguito dei numerosi risultati ottenuti, in special modo quelli verso i Monopoli di Stato, mai conseguiti prima dalla Guardia di Finanza, il Procuratore generale della Corte dei conti del Lazio pro tempore, dottor Ribaudo, aveva proposto l'ufficiale e i suoi collaboratori per un avanzamento di carriera per straordinari meriti di servizio. Il Comando generale della GdF non ha ritenuto di prendere in considerazione la lettera formale e non ha nemmeno istruito la pratica per l'esame della questione.

Come ultima chicca, il colonnello Rapetto, impegnato in tante delicatissime missioni ricevute dalle Procure della Repubblica di tutta Italia, è anche assegnatario dello spinoso compito di coordinare le attività tecniche di recupero ed analisi dei dati memorizzati nella scatola nera e nei computer di bordo della nave Costa "Concordia".

Con incredibile coincidenza L’alto ufficiale, appena resa nota la sentenza della Corte dei conti che confermava l’efficacia delle sue indagini e condannava i responsabili del ciclopico danno erariale, è arrivata la rimozione del colonnello Rapetto dall'incarico di comandante del Nucleo speciale, destinandolo alla frequenza di un corso di formazione.

L'ufficiale, a seguito della comunicazione del trasferimento ad altro incarico, ha formalmente chiesto di conferire con il Comandante generale per esigenze di servizio e la sua istanza - nonostante quanto previsto dal regolamento di disciplina militare - è stata bloccata dalla gerarchia intermedia senza mai giungere all'organo di vertice che avrebbe potuto decidere se ricevere o meno il colonnello.

Diversi parlamentati si chiedono dunque se il trasferimento dell’ufficiale - allontanato dal comando senza alcuna consultazione, così come invece è avvenuto per altri ufficiali - sia semplicemente una ritorsione per il suo brillante risultato e per la sua mancata elasticità a fronte delle pressioni per evitare scandali che potessero coinvolgere altre amministrazioni sempre dipendenti dal Dicastero dell'economia e delle finanze.

Ecco dunque il testo della interrogazione dell’on. Domenico Gramazio, a titolo personale: il titolo della sua interrogazione parlamentare è:

Premesso che:
i Monopoli di Stato e le società concessionarie delle slot machine sono stati condannati dalla Corte dei conti a pagare oltre 2 miliardi e 500 milioni di euro di penali contrattuali per il mancato collegamento degli apparati alla rete dell’anagrafe tributaria con disastrose conseguenze per l’erario;
le indagini delegate dalla Procura della Corte dei conti sono state svolte dal Nucleo speciale frodi telematiche della Guardia di finanza sotto la direzione del colonnello Umberto Rapetto, che, nonostante i ridottissimi mezzi a disposizione, ha conseguito quello che costituisce il più importante risultato mai conseguito dalla Guardia di finanza;
premesso che a quanto risulta all’interrogante:
il Procuratore generale della Corte dei conti del Lazio pro tempore, dottor Ribaudo, ha proposto l’ufficiale e i suoi collaboratori ad un avanzamento per straordinari meriti di servizio ma il Comando generale non ha ritenuto di prendere in considerazione la lettera formale e non ha nemmeno istruito la pratica per l’esame della questione, nonostante le promozioni non siano infrequenti e vadano a premiare persone che non hanno avuto alcun bisogno di fare operazioni clamorose e spesso si sono distinte solo per eccezionale “fedeltà”;
il colonnello Rapetto, impegnato in tante delicatissime deleghe ricevute dalle Procure della Repubblica di tutta Italia, è anche assegnatario dello spinoso compito di coordinare le attività tecniche di recupero ed analisi dei dati memorizzati nella scatola nera e nei computer di bordo della nave Costa “Concordia”, nonché delle non meno scottanti indagini relative alle irregolarità nella gestione del condono edilizio commesse dal sistema informatico del Comune di Roma;
il colonnello Rapetto, che è considerato il più brillante investigatore in tema di criminalità informatica non solo in Italia e che è stato – fra l’altro – capace di far condannare in via definitiva gli hacker che avevano violato i siti Internet del Pentagono, della Nasa, di tanti Governi stranieri, di importanti istituzioni ed enti pubblici italiani, appena la sentenza della Corte dei conti ha confermato la bontà delle sue indagini e condannato i responsabili del ciclopico danno erariale (computato al netto delle riduzioni determinate da interventi normativi e interpretazioni “favorevoli” ai colpevoli e contrarie agli interessi dello Stato), è stato rimosso dall’incarico di comandante del Nucleo speciale e sbalorditivamente destinato alla frequenza di un corso al Centro alti studi difesa dove lo stesso insegna con successo didattico ineguagliabile da circa 15 anni;
l’ufficiale, a seguito della comunicazione del trasferimento ad altro incarico, ha formalmente chiesto di conferire con il Comandante generale per esigenze di servizio e la sua istanza – nonostante quanto previsto dal regolamento di disciplina militare – è stata bloccata dalla gerarchia intermedia senza mai giungere all’organo di vertice che avrebbe potuto decidere se ricevere o meno il colonnello Rapetto;
considerato che il colonnello Rapetto non è stato promosso al grado di generale perché ritenuto dalla Commissione superiore di avanzamento in possesso di qualità intellettuali appena “buone”, a giudizio dell’interrogante in brutale spregio del fatto che Rapetto abbia insegnato in numerosi Atenei italiani e nell’ultimo anno accademico alla facoltà di Ingegneria dell’Università di Genova, collabori assiduamente con “Il Sole-24 Ore” e altri quotidiani, sia molto spesso presente con editoriali sui settimanali “Oggi” e “Sette” del “Corriere della Sera” , sia autore di oltre 50 libri, abbia ripetutamente tenuto lezioni (unico ufficiale non di Forza Armata) in lingua inglese alla Nato School di Oberammergau in Germania, abbia svolto docenza all’allora Scuola di guerra, all’Istituto Superiore degli stati maggiori interforze, al Centro alti studi difesa, alla Scuola di polizia tributaria, alla Scuola tecnica di polizia e in tanti altri istituti di formazione militare, sia stato il Consigliere per la sicurezza tecnologica del Presidente del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), abbia rappresentato l’Italia su delega del Ministero degli esteri nei congressi del Nuclear suppliers group (NSG, l’organismo internazionale per il controllo del nucleare) e del Missile technology control regime (MTCR, per la non proliferazione dell’armamento missilistico) occupandosi di trasferimento di tecnologia intangibile e quindi di spionaggio militare tramite Internet, sia stato distaccato in posizione dirigenziale per alcuni anni all’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione dove oltre ad essere stato l’assistente del Vice Presidente ha avuto la responsabilità di alcuni progetti speciali, sia stato il promotore e il coordinatore dei primi corsi di “technointelligence” presso il SISDE diretto allora dal prefetto Stelo, sia stato consulente anche della Commissione d’inchiesta sull’affare Telekom-Serbia, e che abbia ricevuto dall’AICA (la storica Associazione italiana per l’informatica ed il calcolo automatico) il premio EUCIP Champion, ovvero lo stesso riconoscimento che l’anno precedente è stato attribuito a Federico Faggin, inventore del microprocessore,
si chiede di sapere:
se risulti al Presidente del Consiglio dei ministri se il trasferimento del colonnello Rapetto – allontanato dal comando senza alcuna consultazione così come invece è avvenuto per altri ufficiali, forse perché lo stesso non ha mai fatto parte di cordate o correnti che notoriamente caratterizzano la Guardia di finanza così come i fatti di cronaca hanno ripetutamente evidenziato – sia semplicemente una ritorsione, a giudizio dell’interrogante spietata, per il suo brillante risultato e per la sua mancata elasticità a fronte delle pressioni ad evitare scandali che potessero coinvolgere altre amministrazioni sempre dipendenti dal Dicastero dell’economia e delle finanze come invece avvenuto;
se risulti che i colleghi di Rapetto, considerati migliori in sede di promozione al grado di generale e riconosciuti in possesso di “validissime” qualità intellettuali, abbiano davvero un così strabiliante curriculum che giustifichi il vantaggio ottenuto in graduatoria;
se la mancata appartenenza a lobby o squadre di fedelissimi, possa pregiudicare fino a questo punto la carriera degli ufficiali migliori;
se l’annunciato congedo del colonnello Rapetto, prima mortificato in avanzamento e adesso messo da parte facendogli frequentare i corsi nell’ambito dei quali egli ha svolto a lungo attività di docenza non costituisca un danno incredibile per il Paese e confermi il disinteresse a premiare chi si impegna e ottiene risultati sorprendenti e di rilevante importanza per la collettività;
inoltre, quale risposta sia stata data all’autorità giudiziaria di Grosseto che avrebbe chiesto di riconsiderare il trasferimento del colonnello Rapetto vista la pendenza delle attività tecnico-investigative per il procedimento relativo al naufragio della Costa “Concordia”, se è vero che al posto del Colonnello Rapetto, guida carismatica del Nucleo speciale e professionista di inconfutabile competenza ai massimi livelli mondiali, sarà assegnato un parigrado, a giudizio dell’interrogante più controllabile, privo di conoscenza del settore e del know how tecnologico;
se inoltre sia vero che – dopo anni di inutili reiterazioni del tentativo di Rapetto di ottenere mezzi e personale – il Nucleo Speciale sia stato potenziato proprio quando il comandante (e creatore) del reparto è stato allontanato e se tale potenziamento avvenga senza che siano stati selezionati i militari da assegnare, acquisiti gli strumenti di lavoro predisposti i locali in cui svolgere l’attività;
se sia vero che la partenza di Rapetto dal Nucleo comporti l’assegnazione di ben sei ufficiali nel tentativo di poter sostituire chi con soli due militari, con il ruolo di capitano, ha inanellato continui successi e dimostrato che è possibile contrastare i sempre più frequenti e diffusi crimini tecnologici (con gioia dei cittadini ed innegabile ritorno di immagine per la Guardia di finanza;
se ritenga opportuno che la Guardia di finanza continui impunita in una gestione delle risorse difficilmente condivisibile, nel continuo permanere di scontri tra correnti facenti capo ai diversi generali di corpo d’armata in lotta per aggiudicarsi la posizione di Comandante generale, nella dolorosa constatazione di sempre più numerosi casi di suicidio tra i militari del Corpo che sono la cartina al tornasole di una condizione di malessere dell’organizzazione;
se il Governo non ritenga che risorse come il colonnello Rapetto debbano essere salvaguardate da simili ingiustizie e se non sia opportuno trovare altra collocazione istituzionale ad un personaggio che, in tanti anni di servizio e di positiva esposizione mediatica, rappresenta uno dei volti di maggiore fiducia per il cittadino e che per fenomenale professionalità ed assoluta indipendenza costituisce pregiato soggetto di assoluta garanzia.

Ed ecco la risposta ufficiale del governo, così come è stata rilasciata dal vice-ministro al Tesoro Vittorio Grilli:
"Il trasferimento del colonnello Umberto Rapetto da capo del Nucleo speciale frodi telematiche della Guardia di Finanza è stata una necessaria disposizione che si è dovuta assumere nei riguardi di un ufficiale, il quale eccezionalmente aveva già da tempo potuto godere di ampi margini di permanenza di un incarico e di una stessa sede di servizio . In particolare Rapetto aveva maturato oltre 10 anni di permanenza nello stesso incarico, un  periodo "eccezionale e singolare" rispetto alle carriere di altri ufficiali del Corpo. Inoltre il colonnello Rapetto, nei suoi 30 anni di carriera, ha prestato servizio in soli tre sedi: Portofferaio, Trieste e Roma a fronte di una media di 7 sedi per gli altri ufficiali con la sua stessa anzianità. Di conseguenza non ci sembra, e non appare ai fatti, che il colonnello meriti alcuna promozione e debba pertanto essere trasferito".
Fine della risposta del governo.

IO VOGLIO RAPETTO GENERALE e mi auguro di interpretare il volere collettivo dei cittadini pensanti di questa nazione.
Rivogliamo Rapetto al suo posto di battaglia, con i galloni, gli applausi e tutto l’ambaradan.
Siamo ai tempi supplementari e manca poco.
Se non facciamo sentire la nostra voce, se non facciamo sentire al governo e ai partiti che gli stiamo con il fiato sul collo, chiuderanno in quattro e quattr’otto l’operazione Ponzellini-Banco Popolare di Milano e la mafia avrà vinto ancora una volta.
Sono i vostri soldi. Sono i nostri soldi. Sono i soldi delle tasse inevase.
Sono i soldi che la BCE dà alle banche  e le banche italiane danno alla mafia con la complicità collusa dei partiti.
Bisogna inventarsi qualcosa e fare un tam tam affinchè questa squallida vicenda venga resa nota al più vasto numero possibile di persone, perché sui media mainstream non pubblicheranno le notizie a meno che non si rendano conto che la rete sta reagendo e quindi non possono più mettere il coperchio.
A conclusione, riporto due righe dell’intercettazione telefonica n.345 nel 2010 che fa parte degli atti giudiziari pubblici, tra l’allora Presidente del Banco Popolare di Milano e Ignazio La Russa “Ma vieni pure a visitarmi e ci parliamo, approfitta adesso che il momento è buono, c’è la banca, c’è una banca nostra, ci si può muovere, è roba nostra”.
Ecco come parlano quelli di Cosa Nostra: lo dicono apertamente che le banche ormai sono cosa loro.
E noi dovremmo seguitare a subire tutto ciò senza dire nulla, senza fare nulla?
A Casa Nostra?
Se è così, non lamentiamoci se poi aumentano le tasse, varano le leggi, chiudono le bocche, pensando ai aver a che fare con un branco di pecoroni. Perché questo siamo.

mercoledì 30 maggio 2012

"La rivoluzione è alle porte". Si chiama Rivoluzione Vocalizia. Il paese è pronto.



di Sergio Di Cori Modigliani


“La rivoluzione è alle porte”.

Un’affermazione, questa, piuttosto grossa, che va dunque argomentata e spiegata.
La frase “la rivoluzione è alle porte” se pronunciata da un sindacalista provenzale a Marsiglia nell’ ottobre del 1958 avrebbe determinato risate collettive e una richiesta di immediato ricovero manicomiale. Ma la stessa affermazione pronunciata da un suo antenato contadino nell’ottobre del 1788, anche se lì per lì magari accolta con un certo scetticismo, sarebbe stata ascoltata. Comunque sia, ci sarebbe stata una subitanea curiosità. Il motivo è chiaro: “ce n’era la necessità”, se ne avvertiva l’urgenza, si captava nell’aria che la Storia, irrompendo nello scenario dell’immaginario collettivo della nazione, stava battendo un sonoro colpo traumatico  e pretendeva una immediata accelerazione dei processi evolutivi.
E questo vale per ogni nazione, ogni etnia, ogni specifico momento storico.
Noi italiani, oggi, 30 maggio 2012 ci troviamo nel momento in cui “i tempi sono maturi”.
Una breve premessa per deludere i bombaroli.
Chi pensa –quando sente il termine rivoluzione- a una sollevazione popolare, e si arrapa subito allucinando trionfanti armate di lavoratori che corrono urlando per prendere possesso di Palazzo Chigi, sono fuori strada, fuori tempo, fuori di testa.
Chi pensa e ritiene –perché comunque qualcosa ha captato- che la “imminente rivoluzione” una volta tradotta nel sociale comporterà i fumosi fantasmi di banalità ideologiche, trasformate all’occasione in piatti slogan onnicomprensivi, si sbaglia di grosso. Chi poi ritiene che andare in giro ad incitare alla violenza, mettere bombe, sparare a non so chi, e prepararsi al “grande momento” vuol dire stare organizzando la rivoluzione è un deficiente, una persona disturbata, un volgare mistificatore, o ancora peggio (data la nuova moda) qualcuno che pesca nel torbido perché ha individuato una qualche modalità di aggruppare dei gonzi disperati, di farsi eleggere alle prossime elezioni con una lista civica furba, o proiettare sulla collettività la disperazione acquisita negli anni nell’aver visto esaurite le proprie aspirazioni individuali.
La rivoluzione di cui io parlo ha una sua millimetrica e matematica definizione; si chiama “Rivoluzione Culturale della Coscienza di Massa”.
Senza quella, l’Italia non ha nessuna possibilità di evitare la catastrofe verso la quale si sta avviando, come al solito, animata da imbonitori e sapientoni di cultura wikipediana di stoffa e stazza diversa: c’è di tutto, dagli ineffabili guerrieri della destra sociale agli indòmiti marxisti-leninisti. La scelta è variegata, multicolore, a seconda del proprio gusto esistenziale.
Senza la Rivoluzione Culturale, si piomba nel medioevo. Non c’è scampo.
E la rivoluzione culturale ha una sua particolarità intrinseca, unica nel suo genere, che la rende immediatamente riconoscibile: è originale, non può essere esportabile, ed è il legittimo prodotto di una specifica etnia, di uno specifico popolo, che sintetizza la tradizione, la sapienza, la caratterialità, l’eredità genetica, e “originalmente” inventa e crea un nuovo modello evolutivo che va bene a quella nazione.
Il fallimento tragico della teoria liberista che ha “inventato a tavolino” la globalizzazione, nasce da un errore intellettuale all’origine, di natura autoritaria e imperialista: l’imposizione di un modello unico a dispetto delle esigenze e autentici bisogni di singole collettività. I tedeschi, che sono davvero zucconi, non riescono a comprendere che ciò che va bene a Stoccarda e li’ funziona a meraviglia non è detto che funzioni a Saint Tropez o a Ravello. Perché la realtà, oggi, è complessa. La fine della modernità significa “la fine della linearità”.
Certo, semplificarla aiuta a gestirla, manipolarla e indirizzarla. Ecco, perché la vogliono.
In questo senso, l’unica vera rivoluzione che c’è stata negli ultimi venticinque anni, è stato il libero web, perché lì vince la complessità. C’è un gigantesco mezzo –che si pone come mero strumento piatto, privo di qualità intrinseche se non quelle tecniche atte e adatte al proprio funzionamento- e la sua manifestazione è global, uguale per tutti: se non hai il computer e non hai l’accesso a internet non esiste. Ma una volta superata l’unica funzione globale, al proprio interno, ogni nazione, ogni etnia, ogni popolo, ogni individuo, se lo vive, se lo gestisce, se lo amministra, se lo gode, se lo sfrutta, a seconda delle proprie esigenze. Se noi andassimo a vedere dei blog iraniani o mòngoli o senegalesi, è molto probabile troveremmo delle caratteristiche peculiari molto dissimili da quelle che per noi, invece, nel nostro specifico italiano, sono consuetudine. E’ quello che nella teoria dei mass media si chiama “glocal”, la capacità di saper interpretare la globalizzazione applicandola al territorio specifico del bisogno locale.
Presentarsi con un gigantesco esercito in Iraq dicendo. “buon giorno signori, siamo venuti a regalarvi la democrazia” è stata una autentica follia. Basterebbe questo esempio (valido per tutti) per spiegare l’idiozia perdente da ancien regime di voler imporre il global nel local. Questo è stato ed è tuttora il liberismo. E’ perdente. Non funziona.
Noi italiani siamo all’alba della nostra rivoluzione culturale local.
Perché ce n’è la necessità. Urgente.
Non abbiamo scelta.
Se non la facciamo, scompariremo.
Ma in che cosa consiste la rivoluzione culturale? Come la si fa?
Si inizia dalla necessaria “rivoluzione vocalizia”.
Basta cambiare una vocale e una volta incorporato quel Senso, quel principio, quel Significato, quel valore, quell’effetto, è come aver preso la Bastiglia nel 1789.
Basta cambiare una vocale. Tutto qui.
E da lì, l’effetto domino, dilaga. Avviene un nuovo contagio sociale.
L’ispirazione mi è venuta parlando con mio figlio, un giovane uomo, che è appena ritornato da un viaggio di piacere e di esplorazione con alcuni suoi coetanei in Norvegia, da questi giovanotti definito un paese che sta avanti 100 anni rispetto a noi.
E’ stato il ricordo di un episodio antico, quando lui aveva due anni e mezzo.
La nonna, cioè mia madre, mi aveva costretto a invitare un pomeriggio una vecchia zia rincitrullita, alla quale bisognava far vedere i nipoti. Mio figlio stava seduto sul seggiolone in preda ad un vivo allarme perché la pappa era in ritardo. La zia era seduta e osservava. Io stavo lì a mescolare i cereali cercando di calmarlo (gli avevo anche ammollato il ciuccio perché non urlasse)  spiegandogli che di lì a pochi secondi sarebbe arrivata la pietanza. Ad un certo punto la zia, con una vocetta da idiota fa “Danielino, ma tu che cosa vuoi fare da grande?”. Lui ascolta sgomento, si strappa il ciuccio di bocca e aprendosi a uno smagliante sorriso risponde: “Ma che domande! Io da grande voglio andare all’asilo”.
La zia, che era una poveretta, rimane sconcertata, dato che si aspettava il solito pompiere, astronauta, pilota di rally. Mi guarda e mi fa: “questo bambino è davvero strano”.
Va da sé che mio figlio aveva ragione. Lui pensava alla rivoluzione. Sapeva che passare dalla casa alla scuola voleva dire andare verso la socialità e diventare membro di una collettività di simili, il che è considerato da tutti i pediatri e psicologi del mondo la più grande rivoluzione della nostra esistenza. Essendo un pragmatico, lui aspettava quel grandioso momento di cui gli erano state spiegate le funzioni e le consuetudini.
Tutto ciò per illustrare il necessario primo passo della “rivoluzione vocalizia”.
Bisogna cambiare una O.
Basta questo.
Immaginiamo noi stessi, noi italiani, come nazione civile (dato che siamo giovani perché la democrazia ha soltanto 60 anni) visualizzandoci come bimbetti all’asilo. Abituati a giocare, alla ricreazione, a disegnare, stiamo lì seduti al banco sulle nostre piccole sedie. Essendo bimbetti, si può dire “spaesati”. Essendo stati, invece, degli adulti infantilizzati va detto “irresponsabili”. E questa irresponsabilità ha comportato la fine di una illusione, la presa d’atto della realtà e ha quindi maturato i tempi. Perché la ricreazione non c’è più. Non c’è più neppure la merendina. Non solo. Per un magico trucco del destino (i bimbetti questo lo capiscono) la sedia si è rimpicciolita e quindi cominciano a far male i muscoli, si hanno vere e proprie difficoltà motorie quando si cerca di rialzarsi per andare a fare la pipì. C’è chi reagisce piagnucolando, chi fa i capricci, chi diventa violento, chi si deprime e ammutolisce. A seconda del carattere.

Noi siamo, per l'appunto, come figlio Daniele quando aveva 2 anni e mezzo: dobbiamo abituarci a pensare che la nostra prossima rivoluzione non è quella dei massimi sistemi (cioè: da grande voglio fare l'astronauta) ma quella realistico-pragmatica da scuola elementare della democrazia: "via i mafiosi dalle banche. Altrimenti il paese precipita".
Il linguaggio si trova nel nostro cervello nello stesso identico luogo nel quale opera il pensiero. A seconda dell’uso del linguaggio si producono dei pensieri A oppure dei pensieri B e così via dicendo. Usano gli stessi recettori neuronali. Bisogna cambiare il linguaggio per cambiare i pensieri. E quando si sono cambiati i pensieri si può cambiare la realtà. Questo vuol dire “rivoluzione culturale”: non si importano, non si acquistano al supermarket mediatico, non si trovano per strada ai semafori.
La rivoluzione vocalizia passa attraverso la sostituzione di una vocale. Da O a A.
Da Cosa Nostra a Casa Nostra.
Sembra poco, quasi ridicolo. Ma gli scienziati che si occupano di neurofisiologia confermano che si tratta di una rivoluzione.
Chi oggi protesta perché il 2 giugno non si abolisce la parata, non sa che cosa dice. E’ un demagogo o è disinformato. Non è possibile farlo.
Ma era possibile farlo il 28 gennaio 2012. Quando è iniziata la vera stretta.
Allora, Monti e Napolitano, insieme, avrebbero potuto organizzare una bella conferenza stampa e dire –preventivamente- “abbiamo deciso di annullare la parata per risparmiare 75 milioni di euro accantonandoli come fondo di intervento immediato nel caso di calamità naturali come quella della Liguria in questi giorni”. Non ci hanno pensato.
Perché la loro idea di repubblica è basata sull’applicazione di Cosa Nostra.
Il Ministero della Difesa è “cosa loro” e così anche le commesse –con relative tangenti- che la parata comporta coinvolgendo molte aziende che lucrano su quest’attività, nessuna delle quali ha mai partecipato a una gara d’appalto. Se fosse stata “Casa nostra” ci avrebbero pensato. Bisognava pretenderlo allora, oggi non si può più. Chi lo chiede oggi lo sa, quindi pesca nel torbido. E mi riferisco qui a diverse formazioni politiche furbe presenti (neanche a dirlo) tra le aziende appaltatrici.
E’ una semplice vocale: da O a A. La quale, se ripetuta come un mantra, può far scattare quella rivoluzione di pensiero senza la quale questo paese affonda.
Basta vedere ciò che è accaduto nelle ultime 48 ore. Capisco che il terremoto sia la prima notizia in assoluto. Me ne rendo conto. E’ giusto che sia così. Ma come mai la seconda notizia non è quella A CARATTERI CUBITALI relativa alla Banca Popolare di Milano con relativo arresto del suo presidente e prove fornite dalla magistratura da cui si evince che tale banca, negli ultimi 20 mesi, ha avuto dalla BCE all’1% 14 miliardi di euro per ricapitalizzarsi e di questi ben 5 miliardi di euro sarebbero finiti nelle mani (o nelle tasche) della famiglia mafiosa dei Corallo legata al clan dei Santapaola?. Dunque, la BCE finanzia la mafia. Non lo sapevano? Ebbene, lo sanno adesso. Che cosa hanno da dire? Nessuno dice nulla? Nessuno ne parla? Nessuno fa domande? La questione non viene affrontata?
Se da Cosa Nostra si passa a Casa Nostra (e tale concetto viene incorporato e assimilato nella nostra mente) allora scattano delle domande elementari del tipo: “che possibilità abbiamo noi cittadini di avere dal ministero del tesoro e dell’economia una specifica garanzia per iscritto certificata dalla corte dei conti e dalla associazione bancaria italiana nella quale vengono date garanzie a correntisti e risparmiatori che i propri soldi non vengono consegnati alla mafia  a propria insaputa? Che garanzia viene data ai cittadini che i miliardi che la BCE sta dando alle banche italiane non stanno finendo nelle mani dei clan mafiosi?”.
Voi lo sapete che siete mafiosi senza saperlo?
Voi lo sapete che i vostri soldi depositati la banca li dà alla mafia e quindi voi che lavorate  e pagate la tasse, in realtà contribuite –a vostra insaputa- ad arricchire i clan mafiosi?
Non pensate che questa “scoperta” grazie al lavoro della giudice Di Censo, meriti un approfondimento e striscette su facebook e commenti e cortei e bandierone e improperi, prima che cali il consueto velo del silenzio omertoso di Stato?
Non vi scoccia l’idea di sapere che siamo tutti mafiosi a nostra insaputa?
Non pensate che il momento sia pronto per operare quella rivoluzione culturale che impone con la bava alla bocca e il coltello tra i denti che venga applicato il principio alchemico della rivoluzione vocalizia?
Come può essere passata sotto silenzio, una notizia del genere?
Com’è possibile che si prepara una nuova manovra con la scusa dello spread ai massimi di nuovo dato che la BCE ha riempito di soldi le nostre banche che seguitano a dire che i soldi non li hanno più? DOVE SONO ANDATI A FINIRE QUEI SOLDI?
Ultima domanda:
“Com’è possibile che una intera nazione si faccia rapinare senza neppure chiedere ragguagli sui ladri che stanno portando via i propri risparmi?

Le risposte degli aspiranti “rivoluzionari vocalizi” sono gradite.
Altro che spread.

Ecco chi è e che cosa pensa Gianroberto Casaleggio.


di Sergio Di Cori Modigliani

Gianroberto Casaleggio è un bugiardo, un manipolatore e lavora per Goldman Sachs (versione A).

Gianroberto Casaleggio è un battitore libero, una persona anòmala e indipendente, un professionista della comunicazione che rappresenta l'aspetto di gestione tecnica dell'attività politica di Beppe Grillo (versione B).


Essendo noi italiani, conoscendo i nostri polli, sapendo come la mitomania, la calunnia, la diffamazione, la mistificazione, e la dietrologia, compongano mediamente gli ingredienti basici del cocktail mainstream del potere, è inevitabile affrontare con serietà e documentazione se si intenda aderire alla versione A oppure alla versione B.

Consapevole di questo angoscioso dilemma (perchè tale è) Casaleggio, essendo un esperto di comunicazione mediatica, ha fatto ciò che doveva fare: si è assunto le sue responsabilità in prima persona, si è rivolto alla più autorevole testata italiana, il corriere della sera, e ha scritto una lettera aperta a tutti gli italiani, identificando e definendo se stesso. Ha pregato al direttore di pubblicarla.

La lettera è apparsa oggi sul celebre quotidiano.

In tal modo, ciascuno avrà la possibilità di farsi una propria idea personale in merito.


La ripropongo qui di seguito per intero.

Domani, scriverò un mio personale post con la mia interpretazione individuale della questione.


Eccola:






Caro direttore,
le scrivo in merito al mio ruolo nel MoVimento 5 Stelle. Nel 2003 ho lasciato la mia posizione di amministratore delegato in Webegg di Telecom Italia, un gruppo multimediale che si occupava di consulenza e di applicazioni internet, e ho fondato con altri soci la Casaleggio Associati, una società di strategie di Rete. Internet è un tema che mi appassiona e di cui mi occupo dalla metà degli anni 90. Ho cercato di comprenderne le implicazioni sia nel contesto sociale che in quello politico che in quello della comunicazione. Io credo sinceramente che la Rete stia cambiando ogni aspetto della società e cerco di prevederne gli effetti. Ho scritto molti articoli e alcuni libri sulla Rete. 
Nel 2004 Beppe Grillo ne lesse uno: «Il Web è morto, viva il Web», rintracciò il mio cellulare e mi chiamò. Lo incontrai alla fine di un suo spettacolo a Livorno e condividemmo gran parte delle idee. In seguito progettammo insieme il blog beppegrillo.it, proponemmo la rete dei Meetup (gruppi che si incontrano sul territorio grazie alla Rete), organizzammo insieme i Vday di Bologna e di Torino, l'evento Woodstock a 5 Stelle a Cesena e altri incontri nazionali, come a Milano dove, il 4 ottobre 2009, giorno di San Francesco, al teatro Smeraldo prese vita il MoVimento 5 Stelle
A chi si chiede chi c'è dietro Grillo o si riferisce a «un'oscura società di marketing» voglio chiarire che non sono mai stato «dietro» a Beppe Grillo, ma al suo fianco. Sono in sostanza cofondatore di questo movimento insieme a lui. Con Beppe Grillo ho scritto il «Non Statuto», pietra angolare del MoVimento 5 Stelle prima che questo nascesse, insieme abbiamo definito le regole per la certificazione delle liste e organizzato la raccolta delle firme per l'iniziativa di legge popolare «Parlamento Pulito» e le proposte referendarie sull'editoria con l'abolizione della legge Gasparri e dei finanziamenti pubblici. Inoltre abbiamo scritto un libro sul MoVimento 5 Stelle dal titolo «Siamo in guerra» firmato da entrambi. In questi anni ho incontrato più volte rappresentanti di liste che si candidavano alle elezioni amministrative, per il tempo che mi consentiva la mia attività, per offrire consigli sulla comunicazione elettorale. Non sono mai entrato nell'ambito dei programmi delle liste, né ho mai imposto alcunché. A chi mi ha chiesto un consiglio l'ho sempre dato, ma in questo non ci trovo nulla di oscuro. Mi hanno attribuito dei legami con i cosiddetti poteri forti, dalla massoneria, al Bilderberg, alla Goldman Sachs con cui non ho mai avuto nessun rapporto, neppure casuale. Dietro Gianroberto Casaleggio c'è solo Gianroberto Casaleggio. Un comune cittadino che con il suo lavoro e i suoi (pochi) mezzi cerca, senza alcun contributo pubblico o privato, forse illudendosi, talvolta forse anche sbagliando, di migliorare la società in cui vive. Sono stato definito il «piccolo fratello» di Beppe Grillo, con riferimento al Grande fratello del romanzo «1984» di George Orwell. È evidente che non lo sono. La definizione contiene però una parte di verità. Grillo per me è come un fratello, un uomo per bene che da questa avventura ha tutto da perdere a livello personale. Per il resto, «Honi soit qui mal y pense». 


Gianroberto Casaleggio

martedì 29 maggio 2012

Un grande banchiere finisce in manette per aver finanziato la mafia siciliana. E' così che si cambia l'Italia.



di Sergio Di Cori Modigliani


Non vi è dubbio che l’Onnipotente, meglio noto come Grande Architetto, Dio, o Pura Casualità (a scelta, a seconda dei vostri gusti) ha un curioso tempismo nell’organizzare i nostri destini.
Perché è giusto e sacrosanto che l’attenzione vigile del potere, in Italia, oggi sia riservata come assoluta priorità alla questione relativa al terremoto emiliano. Quella è una emergenza vera. Lì, lo spread, i servizi segreti, gli illuminati e Goldman Sachs non c’entrano, anche se –c’è da sommetterci- ci sarà pure qualcuno che bloggherà sostenendo che si tratta di un esperimento pilotato da non so chi e come. Ormai la gente è fuori di testa, quindi, attendiamoci di essere sommersi da una valanga di idiozie.
E’ pura sfiga, tutto qui. Mi dispiace davvero per gli emiliani, è solo jella.
Forse ce la siamo attirata. Se fossi un predicatore americano direi che è la giusta punizione per essere stati talmente stupidi da bersi nei decenni le melensaggini infantili che (a turno) la sinistra e la destra hanno sciorinato ipnotizzandoci e questo è il risultato. Siccome sono laico, penso invece che anche i viziosi e gli stupidi sono vittime delle circostanze e della casualità.
Esaurita pertanto la premessa, merita attenzione la vera notizia bomba del giorno.
Una bella notizia vera. Una volta tanto, bella per tutti. Bella per la collettività, bella per la cittadinanza, bella per i nostri conti pubblici, bella per il nostro futuro.
Bella per l’Europa.
Ufficialmente, la firma dell’atto legale che ha prodotto l’evento è di genere femminile. Un magistrato che si chiama Cristina Di Censo ha firmato l’ordine cautelare di arresto per alcune persone a Milano, tra cui spicca questa bella faccetta la cui immagine vedete riprodotta in bacheca, un uomo potentissimo in Italia (fino a ieri notte) già presidente della Banca Popolare di Milano, Massimo Ponzellini, punta di diamante come referente all’interno dell’accordo criminale tra sistema finanziario nazionale e mafia siciliana. Lui è l’uomo che ha garantito alla famiglia Corallo di Messina il semaforo verde per agguantare (senza gara d’appalto) la concessione nella distribuzione in Italia delle slot machines, vera piaga diabolica che sta distruggendo tante esistenze, ma che (in teoria) porta allo stato circa 40 miliardi di euro l’anno. Si dà il caso, però, che tale cifra viene regolarmente (e giustamente) messa nel bilancio nella sezione relativa a “entrate” ma i soldi veri, nel senso di cash really cash, non arrivano, quindi, da cinque anni a questa parte (governo Prodi- governo Berlusconi- governo Monti) quella cifra risulta in bilancio ma non c’è: è uno dei grandi buchi neri del bilancio pubblico.
L’Europa l’ha finalmente scoperto.
La società Atlantis e la società Capgemini e altre quattro consociate, sono “deputate dallo stato” a raccogliere il contante e poi pagare le tasse dovute. Incassano il contante, danno allo stato alcune briciole e le tasse non le pagano, il tutto grazie –per l’appunto, questa è la notizia- alla connivenza compiacente del Banco Popolare di Milano, titolo guida in borsa, vero polmone finanziario lombardo di Formigoni e Bossi. Basterebbe pensare che nel 2010 (già in recessione e stretta creditizia) alla famiglia Corallo è stata elargita –tenetevi forte- una linea di credito di 169 milioni di euro senza che nessuna garanzia fosse stata  né presentata né scritta né tantomeno richiesta dalla banca. Quei soldi? Spariti.
Dice la nota ufficiale emessa dall’ufficio della procura generale di Milano:
“Nell'ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Cristina Di Censo a carico dell'ex presidente di Bpm Massimo Ponzellini e del suo collaboratore Antonio Cannalire sono state identificati circa 5,7 milioni di euro di tangenti versate da diverse società fra cui Atlantis e Sisal spa. Massimo Ponzellini e Antonio Cannalire hanno ricevuto denaro o promesse di denaro fin qui accertate in una somma complessiva quantificabile in circa 5,7 milioni di euro effettuato dalle società Atlantis BPplus, Sisal spa, Capgemini spa, Energreed srl, PRC srl-Almaviva spa, a fronte di contratti falsi e fatture emesse senza controprestazione o di valore fortemente superiore a quella effettiva prestazione. Pagamenti e promesse realizzati anche all'estero come nel caso di Atlantis BPplus o in favore di società di riferimento di Massimo Ponzellini. I gravi reati sono stati commessi - conclude il gip - da maggio 2009 a novembre 2011".
Caduto Berlusconi è finita la manna per la famiglia Corallo che ha capito l’antifona e si è dileguata dedicandosi a territorio altro. Da aggiungere che la giudice Di Censo ha emesso un ordine di arresto per Francesco Corallo, boss mafioso messinese (in Italia accolto con festoni e champagne nei salotti buoni della borghesia imprenditoriale lombarda sia di destra che di sinistra, dato che c’erano soldi per tutti) ma il Corallo non è reperibile. Sta nei Caraibi.
Davvero una bella notizia.
E’ uno degli aspetti positivi del “ce lo chiede l’Europa”.
Ma non è un caso che non se ne parli.
E’ uno di quegli aspetti di cui non si dibatte mai, finendo per presentare un teatro tutto in bianco e nero, e quindi finendo per creare confusione e favorendo chi vuole vedere il mondo bicolore invece di leggere la complessità attuale della situazione corrente.
E’ il motivo per cui la classe politica che si celava (e tuttora si cela) dietro il banchiere mascalzone colluso con la mafia mafioso pure lui, ha accelerato la propria violenta opposizione contro l’Unione Europea nel nome di “contro le banche, contro la finanza che affama la gente, contro le direttive che ci strozzano” ecc.,ecc. Più di una volta ho espresso la mia opinione in merito, spingendo il lettore a operare un distinguo tra l’opposizione all’austerità motivata, elaborata, argomentata, da chi aspira alla libertà e vuole un’Europa forte e un altro tipo di opposizione: quella di coloro che, invece, devono salvaguardare gli interessi della mafia che l’Europa vuole colpire. Odiano l’Europa perché non vogliono severi controlli.
Eh già.
Perché se è tutto vero quel settore liberista e malefico che ci sta strozzando e si manifesta con lettere imperiose in cui ci ordinano di tassare le pensioni, aumentare le tasse e restringere il credito, è anche vero che l’Unione Europea ha anche un settore (ancora molto forte per fortuna) che spinge per “obbligare” l’Italia a fare i conti con la mafia, con chi l’appoggia, con chi la sorregge.
Se oggi siamo in emergenza è perché il paese è stato sfiancato, disossato, espoliato, rapinato, avvilito, umiliato, bombardato dalle mafie nazionali criminali che si sono avvalse della collusione consociativa di una immonda classe politica che ha garantito loro coperture, illegalità, ingresso con red carpet e standing ovation nelle banche del settentrione e nei salotti buoni della finanza emiliana, lombarda, e di lì europea e planetaria.
Come avevo già segnalato in alcuni precedenti post, si sapeva che le mafie stanno pagando anche loro un prezzo finanziario e quindi hanno innescato i loro consueti meccanismi per recuperare i soldi persi. Ma in Europa non c’è l’irresponsabile complicità che esiste in Italia. C’è senz’altro più di una banca collusa, più di un ministro corrotto da qualche parte della Germania, Francia, Gran Bretagna, ecc., ma quando là i criminali alzano troppo il tiro, poiché in quelle nazioni lo Stato esiste e intende salvaguardare la propria autonomia, alzano la cornetta del telefono e danno un semplice ordine: “date una lezione ai bastardi”. Non è come da noi, dove dall’altra parte del telefono è proprio il bastardo a rispondere.
Una settimana fa, il nostro ragionier vanesio, ritornando dal suo consueto viaggetto a Bruxelles, ci ha elencato la serie di complimenti, baci in bocca, fiori, cotillons, che tutti hanno regalato a lui a nome dell’Italia. Ciò che non ha detto è che, per la terza (e ultima volta) consecutiva nell’arco di dieci mesi, gli sono state consegnate due paginette, identiche ad altre due paginette consegnate il 20 dicembre 2011 (sempre al ragionier vanesio) e identiche ad altre due paginette consegnate –allora la firma ufficiale era di Mario Draghi- in data 12 agosto 2011 al ministro Brunetta e al ministro Tremonti. In quelle due paginette si bacchettava l’Italia “per essere venuta meno all’applicazione dei dispositivi necessari stabiliti dai 27 paesi membri dell’Unione per il recupero della tassazione evasa e per non aver applicato con rigore e determinazione nessuna manovra efficace per colpire la presenza della criminalità organizzata annidata all’interno dei consigli di amministrazione delle grandi banche operanti nel territorio nazionale della Repubblica Italiana”.
Tutto ciò dovrebbe farci comprendere quanto complessa sia, in realtà, la situazione. 
Ci presentano soltanto le medicine amare, ma nascondono quella che avrebbe potuto essere una medicina dolce e ben gradita dall’intera popolazione perché va a intaccare gli interessi consolidati di chi appoggia il governo. Una situazione non facile.
Ma che dimostra l’importanza fondamentale di restare in Europa. Di salvare l’Europa. Anzi, ancora meglio: di andare a costruirla. Perché se stare in Europa vuol dire che ciascuno si controlla a vicenda e, conoscendo i propri polli, ci si aiuta l’un l’altro nei propri singoli ludibri mefitici, allora ben venga. Questa sì che è l’Europa che funziona. Perché ci dà una mano ad andare all’attacco della mafia, perché da soli –è bene che ce lo mettiamo bene in testa- da soli fuori dall’Europa, altro che decrescita felice tarallucci e vino biologico: senza alcun fortissimo controllo centrale europeo  l’Italia finisce con un governo in cui il 100% dei componenti sarà mafioso, che poi abbia una veste di destra, di centro o di sinistra, è irrilevante.
La partita per la nostra dignità, per l’inizio della nostra tanto sospirata rivoluzione culturale, democratica e di cittadinanza, la si comincia SOLO e SOLTANTO se prima si spezzano le reni alla criminalità organizzata. Altrimenti, non cambierà mai nulla.
In questo senso, le manette al presidente del Banco Popolare di Milano è una bellissima notizia per il paese. Vale molto di più di 150 punti in meno di spread.
La vera mafia operativa sta in Lombardia, Emilia, Piemonte, Veneto, Liguria.
Al sud rimane la tradizione dei capo clan, la struttura del territorio, la gestione delle clientele locali legate a un concetto mentale (e soprattutto culturale) delle baronie esistenziali di stampo feudale, difficilissime da sradicare ma è un lavoro possibile e fattibile dalle tante tante brave persone che in meridione, ogni giorno, portano avanti la propria personale battaglia, a seconda delle proprio mansioni.
Ma l’alimento della mafia viene dal nord.
Paradossalmente, la mafia è meridionale ma è alimentata dal settentrione.
Questo è il cancro dell’Italia.
E’ la cosa bella che ci ha chiesto l’Europa: sradicarla.
E il nostro ragionier vanesio (che al Re Tentenna non ha proprio nulla da invidiare) è tornato da Bruxelles con la coda tra le gambe, tremando come una foglia sapendo che non sarebbe stato facile andare a spiegare la faccenda alla variante post-moderna del trio Lescano, quell’asse impresentabile ABC che da sempre vuol cantare sempre e soltanto la stessa musica: lottare contro la mafia a parole e poi nei fatti andarci a letto insieme. Ma ha avuto un colpo di fortuna, il baldo Monti: ha trovato sulla strada Beppe Grillo. A questo serve l’opposizione, quando è reale. E in questo senso, al di là di ogni perplessità, distinguo e interrogativo argomentato che è giusto porsi su di lui, ritengo che la sua esistenza come movimento e la sua presenza come soggetto politico inèdito stia svolgendo una funzione positiva: fa sentire il fiato sul collo ai mascalzoni.
Anche perché, come ci hanno spiegato da Bruxelles, se l’Italia non avesse cominciato a fare qualcosa di vero, superato il 2 giugno, dal cuore dell’Unione Europea avrebbero cominciato a rendere pubblica la bocciatura del nostro paese perché incapace di arrestare il processo di marcificazione del mercato operato dalla mafia su tutto il territorio nazionale.
C’è la lotta contro la mercificazione, che è un modello elevato.
Noi viviamo nel medioevo, siamo ancora alla lotta contro la marcificazione.
Un sistema in cui classe politica, imprenditori, banchieri, classe intellettuale si mette al servizio della mafia è un sistema destinato al fallimento come società civile. E’ marcio.
E’ per questo che stiamo fallendo.
A meno che la crisi non venga usata e sfruttata come ottima occasione per quel necessario repulisti senza il quale non ci sarà trippa per gatti mai più. E da mici affamati, ci trasformeremo tutti in topastri abituati a vivere nelle fogne di una nazione incivile.
Un grande applauso alla cittadina Di Censo, alla quale va tutto il rispetto della comunità nazionale degli onesti, una giudice che sta compiendo il suo dovere affrontando non poche difficoltà, non pochi ostacoli, non poche pressioni. Se ce la faremo, sarà perché c’è gente come lei che fa il proprio dovere fino in fondo. Non sarà certo seguitando ad aspettare un aiutino esterno come abbiamo sempre fatto nella Storia, rimanendo impassibili e passivi dinanzi al nostro scempio casalingo. Che è nostro, che è italiano e che è nostra responsabilità dover abbattere.
Grazie giudice Di Censo, a nome di tutti..