lunedì 28 ottobre 2013

Una passeggiata nella zona selvaggia dell'esistenza.


"LIfe is not a problem to be solved, just a mistery to be lived"
("la vita non è un problema che va risolto, ma un mistero che va vissuto")
                                                                                                               Lou Reed, 1970

di Sergio Di Cori Modigliani

Un altro grande visionario se n'è andato. 
Personalmente parlando, da oggi, mi sento un po' più solo.
A molti, in Italia -è probabile la stragrande maggioranza delle persone di questa generazione- il suo nome dirà poco o niente. Forse qualche cinefilo accanito lo ricorda perchè il suo grande amico Wim Wenders lo ha messo nei suoi ultimi tre film, sempre a recitare se stesso.
C'è chi lo considera una grande popstar, un reietto, un drogato inutile, un cantante rock diventato famoso, un criminale, uno di moda negli ann'70, un poeta maledetto, uno di quelli, nel senso che il nome rieccheggia il successo ma uno non ricorda bene nè perchè nè quando nè come.
E' stato un grande intellettuale, un elegante musicista e un importante combattente politico libertario.
Ha scelto -come area specifica del suo esercizio- la scena del rock.
E' morto ieri l'altro all'età di 71 anni.
Era nato a Brooklyn, New York.
Si chiamava Lewis Allen Reed.
In arte Lou Reed.
I guai per lui cominciarono molto presto, nel 1958, quando aveva sedici anni, dopo aver preso la maturità. Comunicò alla famiglia di aver preso atto, nel corso dell'estate, della sua natura e dei suoi gusti sessuali: era bisex. La famiglia lo ascoltò con attenzione. Due settimane dopo lo fecero rinchiudere in un manicomio, dove venne sottoposto a un intensa cura di elettroshock per guarire quella che, allora, era considerata una infermità mentale. 
Fu l'evento traumatico della sua esistenza.
Dinanzi alla scelta: o la lobotomia oppure un trattamento intensivo di terapia psichiatrica, scelse quest'ultima. Nel corso del trattamento visse la sua epifania: un'illuminazione che gli chiarì il suo percorso. Lo psichiatra gli spiegò che lui era a lurid human being, che tradotto in italiano vuol dire "una persona socialmente oscena". L'espressione ebbe nella sua mente creativa l'effetto di un lampo chiarificatore. Invece di incorporare il concetto come colpa e avviarsi verso una garantita infelicità, ne fece il suo vanto. Come lui stesso raccontò, riuscì a fingere di essersi ravveduto e venne dimesso. Si trasferì a Manhattan, con il suo nuovo nome Lou Reed e si iscrisse all'università statale di New York dove si laureò prima in letteratura americana e poi in giornalismo investigativo. Ebbe la fortuna di incontrare lo scrittore Elmore Schwartz, celebre autore di racconti brevi, che ne intuì le grandiose potenzialità stimolandolo. E al college scopre la sua grande passione per la musica che inizia a coltivare finchè non incontra un musicista britannico, John Cale, esperto in musica barocca, che si era trasferito a Manhattan dal Galles per studiare musica classica, insieme al quale avvia, inizialmente, una serie di affascinanti esperimenti comuni nel campo della scrittura e della composizione musicale. E danno vita a un gruppo musicale originale "The Primitives" che ottiene un discreto successo. Nell'ambiente newyorchese della metà degli anni'60 i due artisti incontrano la donna che definerà il loro percorso: Maureen Tucker, una giovane borghese che era stata rinchiusa in manicomio dalla famiglia ("eccesso di indisciplina e rifiuto di rispetto delle regole del buon costume")  ed era fuggita via dall'ospedale, inseguita dal FBI. Maureen suonava da sola la batteria jazz nei locali underground dell'epoca ed era diventata un mito cult. I tre vanno a vivere insieme e formano un fortissimo sodalizio (durato dieci anni) dando vita al gruppo dei "Velvet underground". La loro storia fu la base che ispirò Ken Kesey, professore di letteratura americana all'università dell'Oregon (che aveva avuto Maureen come allieva) il quale scrisse un romanzo divenuto famosissimo "Qualcuno volò sul nido del cuculo", da cui poi il giovanissimo e ribelle Michael Douglas, quindici anni dopo, ne trasse un film che produsse dando inizio alla sua carriera.
Nel 1972 i tre vengono accolti nella Warhol factory dove danno vita a una intensa e nuova generazione di artisti, musicisti, scrittori, sostenuti e protetti da Andy Warhol che li lancia nel grande palcoscenico della cultura pop dell'epoca. E nel 1972, esce "take a walk on a wild side" (fatti una passeggiata nella zona selvaggia dell'esistenza) che li qualifica come il punto di riferimento e l'origine dei cosiddetti rock punk. L'indiscutibile merito dei Velvet Underground consiste nell'essere riusciti a coniugare la dimensione poetica musicale del rock con un aggressiva lettura sociale e con la tradizione letteraria iper-realistica, per lo più ispirata alla vita nelle strade di New York, influenzando tutti i movimenti musicali che di lì a breve sarebbero esplosi, dalla new wave al rock alternativo, dal noise al rap. Tutti, da David Bowie ai Talking Heads, dai Police a Sting hanno riconosciuto a Lou Reed la paternità della loro ispirazione musicale.
Il resto è storia nota.

Per quaranta anni, Lou Reed è sempre stato all'avanguardia delle più importanti battaglie politiche e culturali americane nel campo dei Diritti Civili e della libertà di creazione, soprattutto quelle dedicate ai temi della bio-etica. Nel 1995 scende in campo insieme a Hugh Hefner nella più importante battaglia mai lanciata dall'inventore di Playboy, quella contro il Prozac e contro gli psicofarmaci, definito da Hefner e Reed "l'anticamera d'avanguardia verso il controllo planetario delle menti attraverso la promozione dell'industria chimico-farmaceutica, lo zoccolo duro della finanza internazionale". Coadiuvato da quella che ormai era diventata una icona vivente dello star system del rock statunitense, Heffner pubblica un numero speciale di 250 pagine di Playboy interamente dedicato alla denuncia dell'uso del prozac, e soprattutto allo smascheramento degli effetti collaterali (silenziati e censurati dalla stampa mondiale) dell'anti-depressivo: il crollo della libido e il trasferimento della corrente elettrica nella mente dalla parte del cervello deputata all'eccitazione sessuale a quella interessata all'applicazione razionale e organizzata destinata al lavoro. L'azienda produttrice denuncia Heffner e Reed e chiede 100 milioni di dollari di danni. Il fondatore di Playboy contro-denuncia l'azienda e chiede 200 milioni di danni. E qui si verifica il colpo di scena. Lou Reed va in Inghilterra e convince il più importante farmacologo del mondo, un celeberrimo psichiatra irlandese, David Healy, presidente emerito della associazione britannica reale dei farmacologi, a testimoniare a loro favore. In California si scatena una battaglia epocale, con Heffner e Reed che vanno in giro a fare comizi usando uno slogan populista di grande effetto "do not take pills: you just fuck if you want to be happy" (non prendete nessuna pillola: fatevi una bella scopata se volete essere felici). E Heffner vince il processo. Il giudice impone alle industrie chimico-farmaceutiche statunitensi di scrivere nel bugiardino che "l'assunzione di tale farmaco può compromettere in maniera irreversibile il funzionamento naturale della sessualità poichè aggredisce la genesi biologica della pulsione libidica". Da allora, David Healy e Lou Reed cominciano a lavorare insieme denunciando il pericolo nella diffusione di anti-depressivi controllati, attraverso cicli di conferenze internazionali (in Italia nessuno li ha mai invitati nè voluti) che danno vita nel 2001 a un film entrato nella storia della leggenda cinefila cult "Prozac nation" interpretato da Christina Ricci, Jessica Lange, Anne Heche, Michelle Williams e diretto dall'intellettuale libertario norvegese (grandioso fotografo) Erik Skioldbjoerg. Il film è tratto dal libro della romanziera Elizabeth Wurzel che racconta la sua esperienza ventennale nella lotta contro la depressione e la sua esperienza nell'uso degli psico-farmaci. Nonostante il contratto con la Paramount, il film non verrà mai distribuito nè in Usa nè in Gran Bretagna, nè in Germania, nè in Francia nè in Italia nè in Spagna nè in Russia. Lo vedranno soltanto i canadesi, gli scandinavi, gli olandesi, gli australiani e i sudamericani. 
La sua ultima apparizione pubblica, come combattente politico per la libertà di pensiero e dell'espressione creativa, avviene nell'ottobre del 2012, in California, a Los Angeles, nel corso della presentazione dell'ultimo libro del prof. David Healy "Pharmageddon" un poderoso atto d'accusa politico contro l'industria chimico-farmaceutica, considerata la depositaria del controllo strategico delle menti occidentali per costruire una totale dipendenza e assuefazione delle persone, facendole soggiacere ai "sistemi di programmazione neurologica del marketing pubblicitario applicato scientificamente alla genesi dell'immaginario nella mente, attraverso l'induzione, il controllo della reattività e l'abbattimento della libido".
In quell'occasione, Lou Reed definì se stesso "una vecchia scoreggia" raccontando la sua storia, spiegando che aveva subìto il trapianto del fegato e il chirurgo gli aveva raccontato che aveva portato a casa il suo vecchio fegato malridotto e lo aveva regalato al gatto, ma il micio era rimasto schifato dalla quantità di tossine e si era rifiutato di mangiarlo. Disse che non gli restava molto da vivere e si considerava una persona fortunata e davvero felice, perchè era sempre stato circondato e allietato da una enorme quantità di amore, soprattutto quello della sua seconda moglie con la quale si erano fatti compagnia negli ultimi 16 anni. 
"Morirò dunque per scelta, così come ho vissuto sempre: per scelta".
Di lui, oggi, se ne parla in termini discografici, con la consueta agiografia retorica.
Ci tenevo a ricordare gli aspetti più salienti e dirompenti della sua attività e del suo travagliato percorso sulla Terra, sempre sostenuto da una grande creatività, un ingegnoso talento e una poderosa generosità civile.
La sua ricetta per combattere le asperità dell'esistenza è il suo grande lascito a tutti noi.
Take a walk on a wild side.

In memoriam di un grande artista.









4 commenti: