giovedì 3 agosto 2017

Quale civiltà? L’Europa, of course! Roma Aeterna docet.





“L’uomo produce regole. La natura è fatta di leggi. Senza la conoscenza della legge, senza il sentimento della legge, nulla si può fare”.
                                                                                Louis Kahn, La Jolla, California 1968


di Sergio Di Cori Modigliani

Esistono i paesi, le nazioni, gli stati. 
Poi, esistono anche le civiltà.
Una ventina di anni fa, circa, l’istituto di Storia della prestigiosa università di Oxford, in prospettiva della preparazione della monumentale impresa editoriale dedicata alla storia delle civiltà, fece un’inchiesta nel Regno Unito. 
Vennero posti soltanto due quesiti. 
Era indirizzato esclusivamente agli accademici esperti in storia, antropologia, sociologia, ai quali vennero aggiunti anche le migliaia di studenti delle facoltà umanistiche. 
La domanda era la seguente: “Quale è stata la più grande civiltà sul pianeta Terra negli ultimi 3000 anni?”. La risposta era libera. Nel 76% dei casi la risposta fu la stessa. Venne aggiunta anche una seconda domanda: “Sapreste indicare con esattezza l’anno specifico della nascita della civiltà da voi prescelta e il motivo per cui uno specifico evento l’ha definita?”. 
A questa successiva domanda la stragrande maggioranza non seppe dare una risposta. 
Tra le 1750 risposte, invece, l’81% indicò una data: il 420 a.C.
La civiltà prescelta fu l’impero romano.

Su questo non c’è neppure dibattito tra gli storici. 
Sono tutti concordi. 
L'antica  civiltà romana durò circa 1200 anni, dall’ottavo secolo avanti Cristo fino al quinto dopo Cristo. Ci furono anche altre antiche civiltà che durarono molto a lungo, come quella egizia, celtica, etrusca, persiana, cinese, maya, azteca, inca e un’altra ventina meno note. 
Ma nessuna di queste ebbe la potenza di Roma, che non fu soltanto quella militare, tutt’altro. 

L’antica società romana, infatti, ebbe la particolarità specifica di produrre un tipo di civiltà talmente forte da contaminare e contagiare anche lontanissime civiltà molto diverse, con le quali non vennero mai neppure in contatto. Mentre i maya o i persiani o i cinesi rimasero confinati all’interno del loro territorio esclusivo, i romani cambiarono per sempre (in senso evolutivo e progredito) il volto dell’umanità sulla Terra. La data specifica della svolta fu il 420 a.C. La città di Roma esisteva già da circa 350 anni, ma non era ancora una civiltà. Allora, nel bacino del Mediterraneo, primeggiavano l’Egitto e la Grecia. Ma in quell’anno, dopo aver chiuso positivamente la guerra contro gli Etruschi, nella fase politica susseguente al periodo monarchico dei sette re, i romani si posero delle domande relative alla loro identità. Mentre, proprio in quel periodo, nella vicina Grecia nasceva e si sviluppava la più fertile e ricca scuola di pensiero filosofico mai esistita, i romani dibattevano sulla necessità di fondare una nuova idea di mondo, con paradigmi diversi, una prospettiva nuova, una dialettica universale talmente folgorante da poter essere condivisa da tutti. E così nel 420 a.C. diventano i primi sul pianeta Terra ad abolire il sacrificio umano per decreto (scritto), attribuendo all’esistenza un valore assoluto. 
Considerato un reato penale gravissimo, i responsabili di sacrifici umani sarebbero stati condannati a morte. 
Quell’atto politico/legale sancì subito una loro specifica unicità. 
E' stata la prima società sul pianeta Terra a darsi questa nuova regola: i romani sono stati i primi umani sul pianeta ad attribuire alla Vita un valore sacrale e supremo.
La notizia si sparse in tutto il mondo allora conosciuto arrivando (qualche decina di anni dopo) perfino nelle lontanissime India e Cina. In Asia, mercanti viaggiatori, riportarono con particolari e dettagli le leggi e le nuove formulazioni di una società che negava per costituzione a chiunque di abusare dell’esistenza di chiunque altro nel nome di un principio superiore, di solito divino. Fu la prima società laica nel pianeta in cui al centro della scena compare come elemento superiore il “cives”, il cittadino, la cui vita e attività è considerata superiore a quella degli dei, invisibili abitanti dei cieli. Per un lunghissimo periodo furono gli unici a praticare la glorificazione del cives vivendo in una comunità che non contemplava i sacrifici umani per ingraziarsi gli dei. Ma poco a poco, quella pratica divenne seducente e per contaminazione pose le fondamenta di una totale e complessa regolamentazione della vita pubblica, passata alla Storia come "Diritto Romano". 

Secondo l’istituto di Storia dell’università di Oxford, quel Diritto è ancora oggi attivo, essendo la base di ogni giurisprudenza applicata nel pianeta.
Abituati alla divulgazione di stampo hollywoodiano, siamo cresciuti con l’idea che la forza dei romani fosse soprattutto il loro esercito.
Non è così. Non era così.
E’ stato invece il fatto di codificare un progetto culturale vasto che ha cambiato totalmente la prospettiva esistenziale del mondo. Gli storici romani ci hanno segnalato un solo celebre episodio, avvenuto qualche giorno prima della battaglia di Canne contro gli africani, quando il generale che guidava la prima avanguardia d'attacco scelse di sacrificare (la notte prima)  un Gallo e un Greco per sedurre Marte e vincere. 
Vinse. 
Ma fece la stessa fine di quei due poveri disgraziati, sepolti vivi nella sabbia perché questo era il volere degli dei. 
Per Roma, infatti, era più importante il volere degli uomini civili, ovverossia la Regola e il Diritto del Cives, da cui la celeberrima espressione Dura Lex sed Lex.
Non era importante vincere, bensì "come" vincere.
Una vittoria senza rispetto, coerenza e fedeltà rigorosa ai principii del Diritto Romano, per i nostri antichi antenati, non era una vittoria. E si veniva sanzionati e puniti per questo.

Non fu affatto l’ansia del dominio imperiale a rendere Roma la più grande civiltà mai esistita, come erroneamente la corrente vulgata sostiene. 
Fu esattamente il contrario. 

350 anni dopo la sua fondazione, nel V secolo a.C. ormai rassicurati da se stessi, i romani scelsero di darsi una regolamentazione totale basata su codici di comportamento collettivo che consentirono la convivenza tra centinaia di etnie diverse. Oggi, 2017, a Roma città abitano circa 4 milioni di persone, su circa 6,5 miliardi di abitanti nel pianeta. Mille anni fa, nel 1017, a Roma abitavano circa 25.000 persone. Non c’era nessuno, se non il papa e qualche cardinale, asserragliati dentro Castel S.Angelo. 1500 anni fa, Roma era ancora devastata dalle incursioni dei barbari ed era diventata lo scenario del più violento scontro sociale mai registrato. Ma 2000 anni fa, cioè nel 17.d.C, nel pieno del proprio splendore, a Roma (che si estendeva ad ovest fino a Ostia, a est fino a Rieti, a nord fino a Orte, e a sud fino a Sperlonga) abitavano circa 3,5 milioni di persone, quando gli abitanti terrestri erano a malapena 500 milioni.

La lezione (e l’eredità) di quest’antichissima e gloriosa civiltà dovrebbe essere la base dibattimentale di un progetto europeo mediterraneo. 

Ormai incorporata l’idea che non può essere la finanza, il sistema bancario e una moneta a stabilire i codici di riferimento di una comunità collettiva, è necessario recuperare i valori alti della Cultura e della competenza per seguire la traccia degli antichi romani e fondare una nuova civiltà europea. Pensare di poter sostenere un progetto politico continentale basandosi soltanto sulla gestione più o meno sapiente della rabbia, livore, indignazione, bisogno, ruotando intorno a slogan pregni di echi ma vuoti di sostanza è una perdita di tempo, un errore madornale e non servirà a nulla. 
I gravissimi problemi che stiamo affrontando in questa fase, per noi europei, non possono essere risolti da una piatta normativa o da qualche abile trucco ragionieristico che ormai sanno di folclore. E’ necessario ripartire dalle priorità basiche sulla cui fondazione è necessario dibattere per costruire i pilastri di sostegno di una società evoluta. 

Siamo abbastanza ricchi in Europa per andare, complessivamente, al di là del mero concetto di sopravvivenza e fondare una nuova civiltà basata sulla abolizione del sacrificio umano post-moderno, qui inteso nella sua accezione attuale e contemporanea, proprio come fecero i romani 2.437 anni fa.
Incorporare un’idea di mondo basata sul concetto che non si ha futuro, che non si possono coltivare ambizioni, che non si possono costruire aspettative, che non si può fondare una propria progettualità individuale, che l’unica possibilità di ingresso nel mondo del lavoro passa ineluttabilmente per le vie della politica partitica, equivale alla morte civile: è la nostra modalità di praticare il sacrificio umano. Dobbiamo diventare civili, non lo siamo ancora. 
Questa è l’eredità che il compianto prof. Zygmunt Bauman, squisita mente di europeo pensante, scomparso otto mesi fa, ci ha lasciato come eredità e viatico per noi che stiamo qui. Nel suo più drammatico testo pubblicato cinque anni fa (“Danni collaterali” stampato dall’editore Laterza di Bari) ci spiega come l’essere umano sia ormai diventato, per l’appunto -da cui il titolo del libro- una cifra statistica, un danno collaterale della società attuale. 
Siamo ritornati al sacrificio umano. 
Prima della grande civiltà.
Si impone un immediato lavoro di progettazione culturale fondativo prima che sia troppo tardi.

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